
“Un giorno di sfilate a Parigi vale 5 giorni di Milano sul fronte della creatività e l'esatto contrario dal punto di vista commerciale” si diceva nel mondo della moda fino alla nascita dei conglomerati del lusso mondiale. Oggi certe regole non valgono più per cui un portavoce della Camera della moda francese (Chambre Syndicale de la mode) tra una sfilata e l'altra dichiara che le fashion week di Milano fatturano 396 milioni di Euro, mentre quelle di Parigi hanno raggiunto un fatturato di 10 miliardi. Non è dato sapere se si tratta d'indotto o di cosa, ma secondo il Sole 24 Ore l'impatto economico sulla città dell'ultima settimana della moda milanese ha sfiorato i 240 milioni di euro in crescita del 12,3% nonostante il calo della spesa media.
Sta di fatto che il calendario delle sfilate nella Ville Lumiére resta il più lungo e interessante del mondo, l'unico in cui anche il potere economico deve fare i conti con la creatività. Ecco quindi perchè accanto ai colossi del lusso sfilano senza paura emergenti di talento come Niccolò Pasqualetti, un giovane designer toscano che ha debuttato sulle passerelle francesi nel 2024 prima di compiere i 30 anni e, dopo una formidabile sfilata all'ultima edizione di Pitti Uomo lo scorso giugno a Firenze, è ritornato sulle rive della Senna con un bellissimo show al Palais de Tokyo. Del resto da sempre Parigi val bene una messa per il fashion system internazionale perché hanno avuto la lungimiranza di ospitare tutti quando i nostri calendari erano blindati offrendo sempre spazio e visibilità a chiunque volesse sfilare.
E' il caso dei giapponesi come Issey Mijake che negli anni '90 ha presentato qui la sua prima collezione della linea Pleats Please e non ha mai smesso di sfilare nel calendario parigino negli ultimi anni con la main collection disegnata adesso da Satoshi Kondo. Proprio lui venerdì scorso ha organizzato uno show indimenticabile con musica eseguita dal vivo dall'artista libanese Tarek Atoui che “suona” vasche piene d'acqua, pietre, pezzi di legno e pelli di animali che fanno parte della catena alimentare. Modelle e modelli si muovevano su questa speciale colonna sonora con abiti fatti di pura sperimentazione sartoriale per cui la giacca diventa pantalone, la gonna finisce al posto del gilet e dentro la tuta sono incastrati i rifiuti inorganici tipo le bottiglie di plastica dei detersivi. Dire bello sarebbe troppo, ma peggio che far la morale nella moda c'è soltanto il non farla.
Deliziosa invece la collezione dedicata al boudoir da Andreas Kronthaler, vedovo di Vivienne Westwood ed erede designato della sua creatività fin da quando Queen Viv era ancora tra noi.
Lo stilista ha trasformato le tende di una casa patrizia in abiti riempendoli di corsetti e tagli sartoriali: un gioco che nessuno ha saputo fare come la Westwood e che agli inglesi piace moltissimo come dimostra il successo della mostra dedicata a Maria Antonietta dal Victoria & Albert Museum.