Controcultura

Modigliani, nessun reato e tanta incompetenza

Tutti assolti dalle accuse di truffa, ricettazione, falso, contraffazione. E i presunti "esperti"?

Modigliani, nessun reato e tanta incompetenza

È finita come doveva finire. Ma era iniziata malissimo. Lo scandalo fu enorme, ed era forse prevedibile, trattandosi di Amedeo Modigliani, dopo la beffa del 1984. Era stata clamorosa, e non si trattava di falsi e neppure di truffa, ma di uno scherzo, un meraviglioso scherzo di ragazzi. Sono passati quasi quarant'anni. A distanza di tanto tempo, sembrava impossibile umiliare ancora il pittore, ma evidentemente su Modigliani pende una maledizione, ed è possibile fare perfino peggio di una burla, mettendo insieme Carabinieri, Magistrati, Amministrazioni intimidite, falsi esperti e critici ambiziosi che pretendono di essere titolari della verità, a Parigi come in provincia. Con queste premesse basta una scintilla per provocare un incendio.

La mostra di Modigliani, allestita dal 16 marzo 2017 nell'appartamento del Doge di Palazzo Ducale di Genova, era stata coprodotta da Palazzo Ducale e da MondoMostre Skira, che ne aveva affidato la cura a Rudy Chiappini. Il 17 aprile Carlo Pepi dichiara falso il Ritratto a Maria che compariva tra le opere selezionate per l'esposizione genovese. Il 29 aprile Pepi si espone ancora, sempre attraverso Facebook, scrivendo che «rarissime sono le opere autentiche esposte a Genova». Il 18 maggio dal profilo Facebook Marc Restellini indica 13 falsi esposti a Genova. Il 22 maggio Carlo Pepi conclude: «Stanno tutti zitti e buoni, ma la mostra su Modigliani a Genova andrebbe rivista perché secondo me ci sono almeno 13 opere dubbie. Inoltre tre dipinti a doppia firma sono male attribuiti, oltre che all'autore Kisling anche a Modigliani, che invece non c'entra nulla se non per esservi riprodotte delle sue opere. Perché i grossi espertoni continuano a non intervenire?».

Di lì, senza alcun controllo, partono i sequestri, la chiusura anticipata della mostra, il processo, con severissime richieste di condanna. Tutti dalla parte dell'accusa. Tra faide degli esperti, paure e intimidazioni nessuno difende la mostra o dubita della fondatezza delle accuse. I critici d'arte sembrano paralizzati. Spariti. Genova è la Caporetto di Modigliani.

Due giorni fa arriva la sentenza. Tutti assolti gli imputati. L'udienza si è aperta con la notizia della morte, il 12 giugno scorso, a New York, del principale imputato, Joseph Guttmann, mercante d'arte di 81 anni. I suoi legali, gli avvocati Massimo Boggio e Massimo Sterpi, hanno chiesto comunque l'assoluzione nonostante il decesso «per onorare la sua memoria e ricostruire la sua reputazione». Il giudice Massimo Deplano ha assolto i sei imputati perché «il fatto non sussiste» e «perché il fatto non costituisce reato». Le tele saranno restituite ai proprietari.

A processo, a vario titolo, per truffa, falso, ricettazione e contraffazione di opere, erano Massimo Vitta Zelman, presidente di MondoMostre Skira, che organizzò l'esposizione; Joseph Guttmann, mediatore originario dell'Ungheria con base a New York e proprietario di molte delle opere sequestrate; Rudy Chiappini, italiano trapiantato in Svizzera, curatore, bravo, colto e gentile, lasciato solo; Nicolò Sponsilli, direttore mostre di Skira; Rosa Fasan, dipendente Skira; Pietro Pedrazzini, scultore svizzero, proprietario di Ritratto di Chaim Soutine che per gli investigatori prestò come autentico pur sapendolo falso. La Fondazione Palazzo Ducale si era costituita parte civile tramite l'avvocato Cesare Manzitti. Il procuratore aggiunto Paolo D'Ovidio aveva chiesto cinque condanne e un'assoluzione. In particolare sei anni per Chiappini, cinque anni per Guttmann, otto mesi per Sponsilli e Fasan, sei mesi per Pedrazzini e l'assoluzione per Vitta Zelman.

Gli accertamenti scattarono nella primavera 2017, a mostra in corso che, a quel punto, chiuse prima. Le «perizie» stabilirono che 21 opere, un terzo di quelle esposte, erano false. Secondo gli inquirenti, coadiuvati da carabinieri ed «esperti», attraverso l'esposizione si volevano rendere autentiche opere false per rivenderle nel centenario della morte di Modigliani.

Fui l'unico a dire con determinazione che l'ipotesi accusatoria era costruita sulle relazioni di due perite inadeguate. Dunque, un processo inutile e un danno d'immagine per Palazzo Ducale e per il Comune di Genova. Studiosi seri e persone per bene per anni sono stati tenuti sotto scacco e infamati; tra queste un valoroso curatore come Rudy Chiappini e un grande collezionista come Joseph Guttmann. Oggi possiamo dire che il Pm si era avvalso degli unici falsi della vicenda: cioè i cosiddetti «esperti dei tribunali», le due inadeguate perite prive di competenze specifiche, Mariastella Margozzi e Isabella Quattrocchi, supponenti e ignoranti, che avevano vaneggiato opponendosi a collezionisti ed esperti autentici.

Dovranno i magistrati, d'ora innanzi, non pescare esperti negli albi degli iscritti, ma cercare competenti di categoria più rigorosi. L'ipotesi accusatoria infondata e l'incompetenza manifesta delle due improbabili perite hanno portato a incriminare collezionisti in perfetta buona fede che avevano acquistato opere referenziate e pubblicate, senza alcun dolo possibile.

La morte di Guttmann, sottoposto a una indegna gogna, è un delitto di Stato, così come l'incriminazione di Rudy Chiappini, di Pietro Pedrazzini, di Nicolò Sponsilli, alcuni professionisti importanti di una storica casa editrice, come Skira, con grande reputazione. Sulla base delle false perizie disposte dal Pm, Paolo D'Ovidio, sono state diffamate persone oneste e persino lo stesso Modigliani, arrivando a una conclusione sconcertante: l'inautenticità vale prima per 13 opere, poi per 21 e alla fine per «alcune», forse per 8. In definitiva, probabilmente, per nessuna. E certamente senza alcuna intenzione truffaldina. Il falso processo, basato su false perizie, ha costituito un danno per il Comune di Genova e la sua credibilità. Spero che Palazzo Ducale adesso chieda i danni d'immagine.

La vicenda è esemplare per riconoscere, peggio che nel caso della beffa di Livorno, l'inadeguatezza della categoria dei critici d'arte, sopraffatti da magistrati, carabinieri e periti di tribunali, privi di alcuna competenza. La tesi dell'accusa pervade gli ambienti che erano un tempo frequentati da persone competenti. E si può costruire uno scandalo sul nulla. È sconfortante che io sia stato l'unico a denunciare l'inesistenza dello scandalo. Oggi la sentenza mi dà ragione.

L'avevo detto, in perfetta solitudine.

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