Moggi santo subito

Questo è, lo diciamo subito, un articolo brutto e cattivo, che sta apertamente dalla parte dei brutti e dei cattivi. Se siete belli e buoni, non leggetelo nemmeno. Il giorno in cui è scoppiato lo scandalo da qualcuno ribattezzato Calciopoli ho anch'io gioito vedendo Luciano Moggi nei guai. Sono sincero: lo desideravo. Il sospetto che esistesse una cupola illegale del calcio italiano, un sistema senza regole che non risparmiava arbitri, designatori, procuratori e responsabili federali, era vivo da sempre in una buona metà degli italiani, me compreso. Ora, finalmente, ecco che i nodi cominciavano a venire al pettine.
Poi, però, mi sono chiesto la ragione di tanta soddisfazione, e la risposta vera, sincera, non ipocrita che sono riuscito a dare a me stesso era una soltanto: che sono interista.
Essere interisti è una buona ragione per detestare la Juve e il suo sistema di potere, che negli ultimi anni ci ha derubato di uno scudetto e mezzo: quello intero è quello del 1998, mentre quello a metà si riferisce al 2002, dove - ultima giornata a parte - oltre all'Inter ad essere derubata fu la Roma, che era a quel tempo la squadra più forte, sia della Juve che dell'Inter.
Il tifo antijuventino risale a ben prima di Moggi. Già negli anni Settanta ricorreva il motto «gli arbitri italiani viaggiano Fiat», ed è possibile che già allora ci fosse qualcosa di vero.
Detto questo, devo però ammettere che quando, in un'immagine tv di repertorio, ho visto inquadrata la curva di uno stadio con la scritta «Moggi santo subito», ho capito istintivamente che quei tifosi avevano una buona parte di ragione.
Ebbene, anch'io, da non-juventino, voglio spendere, senza nessuna ironia facile, qualche parola in difesa di Luciano Moggi.
Innanzitutto. Per diversi anni Moggi è stato l'uomo più potente del calcio italiano. Il calcio italiano: una baracca piena di gente incapace, di furbacchioni, di sperperatori di denaro, tanto malandata quanto importante, anzi decisiva nel nostro mondo.
Ricordate quando una famosa squadra italiana rischiava, causa bancarotta, di non potersi iscrivere al campionato di serie A? Pensate cosa sarebbe successo, se la legge fosse stata applicata alla lettera, pensate che disastro. Per fortuna c'erano i maneggioni, gli opportunisti, i disonesti, che salvarono l'Italia da guai assai peggiori.
Quattrocento telefonate al giorno. Ma chi è Sisifo al confronto? Vi rendete conto della vita che faceva Moggi? E voi pensate che un uomo possa reggere una vita simile senza avere una solida struttura diciamo umana (io direi anche morale, ma non vorrei fare arrabbiare troppa gente)?
Moggi, semplicemente, teneva in piedi il nostro calcio. Con lui non dico tutti, ma molti hanno avuto i loro vantaggi. Adesso in tanti fanno i puri, si chiamano fuori. Abbiamo avuto un presidente federale che non aveva mai saputo niente di tutto quello che succedeva. Adesso in tanti invocano le regole, ci vogliono le regole!, gridano, quando fino al giorno prima delle regole non importava niente a nessuno.
Anche al tempo di Tangentopoli si parlò per qualche tempo di regole. Poi, come succede sempre, si smise di parlarne. Tangentopoli ha migliorato il Paese? Direi di no. Del resto, il governo appena varato, tutto farcito di capi di partito, è un bell'emblema della Prima Repubblica, non vi pare?
Altra considerazione. D'accordo: Moggi ha tratto qualche vantaggio dalle sue quattrocento telefonate al giorno. Ma vogliamo attaccarci a questo? Chi è quel Robespierre, quel Cincinnato che regge tutto un sistema (sistema che, bene o male, funzionava) e poi non chiede niente per sé? Qualcosina in cambio gliela vogliamo dare?
Tirano fuori la storia del sequestro di persona. Sciocchezze. Stiamo ai fatti e non ai principi astratti, per favore. La cosa grave non è, se mai, l'avere chiuso l'arbitro Paparesta nella sua stanza (è un momento di rabbia, che c'entra coi sequestri?), ma il fatto di essersi presentato a lui come il suo padrone.
Io, però, vi invito a considerare anche questa cosa, e a riflettere: Moggi non si atteggiava a padrone del calcio italiano: Moggi era il padrone del calcio italiano. Lo era perché era, probabilmente, l'uomo più intelligente e capace del calcio italiano. Ed era, tutto sommato, un padrone non poi così tremendo: meglio lui di tanti altri.
Si potrebbe continuare a lungo con questo discorso. La raccomandazione finale è la seguente: attenti ai buoni. Quando comincia la riscossa dei buoni, dei puri, degli onesti, delle brave persone, dei garbati, dei gentili, delle anime semplici, meglio stare sul chi va là. Se cominciamo con l'inflessibilità della legge e con i sequestri di persona, non ci aspettano giorni allegri.
Nel dramma Il cerchio di gesso del Caucaso, di Bertolt Brecht - che non era certo un reazionario di destra - il giudice-scrivano Azdak usa il codice della legge in modo strano: se lo piazza sotto il sedere per sembrare un po' più alto. Eppure non è un uomo ingiusto. (Chissà perché questo, che è un ottimo testo, non viene quasi mai messo in scena).
Nessuno vuole arrivare a tanto. Però anche i buoni e gli onesti è bene che si ricordino, di tanto in tanto, che la legge è per l'uomo, non viceversa: tutti conosciamo le aberrazioni dello Stato etico. Se Moggi ha rubato, è giusto che paghi. Però secondo me merita più rispetto. Non credo che il nostro calcio, senza di lui, andrà meglio.


Il doping, l'impoverimento dei nostri vivai a causa dell'invasione straniera (maledetta la sentenza Bosman), lo scollamento tra società calcistiche e mondo giovanile, il disinteresse per l'educazione dei ragazzi ai veri valori sportivi: questi sono problemi assai più gravi di un paio di scudetti rubati e di qualche arbitraggio pilotato.

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