Dove si nasconde un grande pittore? E dove si riconosce? In ciò che non vuole mostrarci. È l'impegno di una vita di Umberto Moggioli, raro pittore di paesaggi, in equilibrio tra simbolismo ed espressionismo. È giusto che Trento e Venezia ritornino a celebrarlo, a poco più di un secolo dalla precoce scomparsa. Venezia lo ha fatto a Ca' Pesaro, il cui nome definisce la scuola di appartenenza di Moggioli, e il Mart lo farà in gennaio nella ritrovata sede di Palazzo delle Albere a Trento. Mentre si attendono tempi migliori, la destinazione di Palazzo delle Albere a sede espositiva di artisti trentini onora l'impegno degli eredi che hanno tenuta viva, nelle case, negli archivi, nelle donazioni, la memoria di grandi artisti trentini, da Luigi Bonazza a Tullio Garbari, da Benvenuto Disertori a Umberto Moggioli. Le istituzioni devono molto alla dignità e all'orgoglio delle famiglie, che hanno conservato intatto un patrimonio così notevole di arte del Novecento. Palazzo delle Albere ne è la sede naturale. Di lì partirono le prime grandi mostre di Gabriella Belli, che ora, con più avanzati studi, si ripropongono.
Gli inizi di Moggioli, nel primo decennio del secolo, sono quanto mai eloquenti, nello scavalcare a pie' pari le avanguardie e far parlare, senza mediazioni, la natura: «Amo profondamente la natura: le cose, le persone, tutto. Mi piacciono molto le campagne lavorate e i gusti semplici ed eterni del contadino e della donna di casa (...). A me quello che preme è rendere il carattere delle cose e delle persone con la maggior semplicità e plasticità possibile. Così lavoro, lavoro con fede e entusiasmo». Un pittore trentino, con la sua candida visione, che bagna i suoi colori nella laguna veneziana e declina la sua visione in chiave lirica.
Moggioli si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Venezia nel 1904, frequentando le lezioni di Guglielmo Ciardi ed Ettore Tito. La seduzione della laguna si fa radicale quando, a partire dal 1907, inizia a frequentare l'isola di Burano, dove sceglierà di vivere. Tra il 1909 e il 1910 dipinge quattordici pannelli per il padiglione centrale dei giardini della Biennale. Nel 1909 ha una personale, con 28 opere, alla Fondazione Bevilacqua La Masa. Inizia così una stagione di intenso dialogo con i pittori di Ca' Pesaro che si muovono intorno a Nino Barbantini, direttore dei musei veneziani. Sente la necessità di essere moderno anche senza aderire alle avanguardie. In un breve soggiorno estivo a Cavalese conosce Anna Fontanazzi, che diventerà sua moglie. L'anno successivo viaggia tra l'Umbria e Roma, in compagnia di Benvenuto Disertori. A Roma lavora nel monumento a Vittorio Emanuele. Ed eccolo a Venezia nel 1911 per riprendere i contatti con gli amici di Ca' Pesaro, in particolare con Gino Rossi, Arturo Martini, Tullio Garbari.
Partecipa così, con discrezione, al dibattito sulle ricerche artistiche del suo tempo. Ma riemerge in lui il sentimento del paesaggio, nel quale è immerso a Burano, a Mazzorbo, a Torcello, luoghi amati che ispirano le sue vedute, spesso in penombra, di intensità suprema, di limpida poesia, tra luci di crepuscolo e luci notturne. Suggerisce Ilaria Cimonetti, nel catalogo dell'«Omaggio a Umberto Moggioli» voluto in questi tempi difficili dai musei civici veneziani e dal Mart di Rovereto, con la cura di Gabriella Belli, Elisabetta Barisoni e Alessandra Tiddia: «l'elegante linearismo Jugendstil, i colori puri e ammirati nelle opere dell'amico Gino Rossi si mescolano a un simbolismo di matrice segantiniana che mette in correlazione i cicli del mondo naturale con le età della vita». Lo si vede in opere emblematiche come Il ponte verde del 1911, dipinto solido e ben costruito, e, ancor più, mentre la sua pittura si avvia alla rarefazione, in disarmati paesaggi come Dalle barene di San Francesco nel deserto, Biancospino e, soprattutto, Giornata di sole in barena (1912), Campagna a Treporti (1913), Pomeriggio d'autunno e Sera di primavera. Sono avvicinamenti a un capolavoro come Sera a Mazzorbo (1913): Moggioli appare un Munch italiano, mai subordinato al primato della ricerca formale, e tanto meno sperimentale. Un poeta del paesaggio.
L'annus mirabilis è il 1914, quando Moggioli partecipa alla XI Esposizione internazionale d'arte di Venezia e alla seconda Esposizione internazionale d'arte della Secessione (Roma, 1914). Mai, nella pittura di Moggioli, ispirazione e poesia raggiunsero un punto più alto che nella serie Sera da Torcello, ove si adombra, tra l'hortus conclusus del giardino sulla laguna e la veduta lontana di Venezia, un embrione di realismo magico. Di qui Moggioli rapidamente discende nella sua dimensione quotidiana, tranquilla e mitigata. Il rapporto diretto con la realtà è in Maternità, e in Autunno nel veronese, anticipo di Valori plastici, in un evidente neogiottismo. Siamo soltanto nel 1916. La concentrazione è molto alta. La sua ispirazione è discontinua, condizionata dalla malattia. Ma si può dedicare interamente alla pittura: «Mi convinco sempre più che la pittura non è una donna allegra che si compra con pochi soldi. Bisogna amarla tanto tanto e starle sempre vicino per averne qualche rara carezza (...). Della mia vita non so cosa dirti. È questa! La mia vera».
Arrivato a Roma nell'autunno del 1916, Moggioli ha casa e studio a Villa Strohl-Fern, dove certamente incrocia Amedeo Bocchi che gli trasferisce il sentimento della sua visione incantata. Sono evidenti le connessioni fra un'opera estrema e illanguidita come Mattino di primavera e le immagini femminili ambientate in parchi o giardini di Bocchi. È il momento in cui Moggioli coglie anche la dimensione intimistica di Emilio Rizzi, come si vede in Nudo con il gatto nero del 1917. Ma è alla fine della sua ricerca che egli raggiunge la poesia pura nella semplicità della condizione domestica. Siamo nel 1918, l'ultimo anno di vita di Moggioli, prima della precocissima morte a 32 anni, nel gennaio dell'anno successivo, per febbre spagnola.
In Mattino di sole, Bambina con i giocattoli, La casa dell'artista, tra pergolati che filtrano luci e ombre, in una tessitura che sembra discendere da Bonnard, non si sa se conosciuto o intercettato, Moggioli coglie esiti intimistici di commovente purezza. Intuizioni di verità quotidiana, fino a quando il suo occhio si posa su un pergolato nel viale di Villa Strohl-Fern, in una mattinata luminosa di gennaio. È il suo ultimo sguardo sul mondo.
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