Molgora, il sottosegretario che ha stoppato Maradona

Attaccò la Rai per aver pagato a peso d’oro la partecipazione in tv dell’ex fuoriclasse: «Dopo la mia sgridata è sparito, ho evitato di fare guadagnare quattrini a chi ha evaso il Fisco italiano per 61 miliardi»

Molgora, il sottosegretario che ha stoppato Maradona

Nella disgrazia di lavorare a Roma, il bresciano e sottosegretario leghista all’Economia, Daniele Molgora, è fortunato. Il ministero è un covo celtico e lui si sente a casa. Dei suoi colleghi, ministro, vice e sottosegretari, cinque sono nati sopra il 45° parallelo, la mitica Padania. Il sesto, il marchigiano Baldassarri, è insubre onorario (insegna da decenni al Nord).
«Questa bella abetaia?», chiedo a Molgora indicando un quadretto sulla parete dell’anticamera.
«Franciacorta, dove abito. Posto tranquillo, con Brescia a portata di mano», dice il sottosegretario introducendomi nello studio. Molgora è un vivace giovanottello di 43 anni, con le fossette sulle guance rosee e occhialini indagatori. «Due mesi fa ho avuto un figlio. L’aria buona fa bene anche a lui», aggiunge e mostra intenerito la foto del bebè sullo scrittoio.
«Ha antipatia per Roma, come Prodi che rifiuta di abitarci?», chiedo.
«Per la città, nessuna. Quando la Lega critica Roma si riferisce al potere burocratico».
«Ha però proposto di svendere il Colosseo dandolo in concessione a privati».
«Gli altri Paesi fanno rendere qualsiasi pietra, noi lasciamo inutilizzati i nostri “cespiti” naturali. Sono anche ricchezze economiche».
«Scatenò un putiferio. Storace voleva metterle la “museruola”. Veltroni disse: “Via dal governo”».
«Perché era un leghista che parlava di Roma. Si fosse trattato di Udine, non succedeva niente. Per polemica, hanno finto di non cogliere l’aspetto corretto della proposta».
«Ha una stanza grande come un campo da tennis», passo da palo in frasca.
«Non mi lamento. I quadri astratti che vede appesi, da Burri a Gentilini, sono gli originali delle riproduzioni apparse nel corso degli anni sui biglietti delle Lotterie».
«Al ministero, una stanza così non l’avrebbe mai ottenuta», osservo. Infatti, non siamo nel falansterio di Via XX Settembre, ma in Trastevere, nella sede dei Monopoli di Stato, palazzone neoclassico dei tempi di Pio IX, tra vecchie casupole.
«Era l’ufficio di Tremonti. Me l’ha ceduto», dice Molgora che, senza essere azzimato, è un elegantone. Predilige tinte ottimistiche. Giacca azzurra come un cielo estivo e cravatta scozzese color latte. Nel taschino, il fazzoletto padano verde pisello.
«Per i leghisti Tremonti ha un occhio di riguardo. Continua il vecchio feeling?», chiedo.
«I feeling si creano sui fatti. Se Tremonti dice cose che condividiamo, il feeling nasce. Se no, no. In genere, c’è accordo», dice, col tono noi siamo noi, amici di tutti e di nessuno.
«Come ha vissuto la parentesi Siniscalco?».
«Ce l’ha una domanda di riserva?», sorride. Poi, spara senza farsi pregare: «Siniscalco ha semidistrutto in un anno ciò che in tre anni avevo costruito per migliorare il rapporto contribuenti-Fisco».
«Un Attila».
«Ha reintrodotto complicazioni e moduli. Siniscalco ha una mentalità burocratica. Tremonti ha uno spessore diverso. Molto più sensibile ai rapporti col contribuente», dice Molgora e si frega il polso destro.
«Coccola il suo micidiale polso. So che è campione di tennis dei deputati leghisti», dico.
«Tocco il polso per consolarlo. Mi fa male. Per questo, non gioco più a tennis da tempo», dice con rammarico, ma compiaciuto che ricordi le sue prodezze con la racchetta.
«Come si è fatto male al polso?».
«Giocando a calcio», ride.
«Sono digiuno, ma lo credevo uno sport per piedi».
«Gareggio in III categoria. Ala destra, molto veloce. Gli avversari mi contrastano prevalentemente da sinistra. Dai e dai, sono cascato sul polso destro, rovinandolo».
«Nemesi del dio del calcio per le sue continue accuse di evasione fiscale alle società di football», dico.
«Qualche risultato l’ho ottenuto e lo Stato ha incassato un bel po' di quattrini. Non pagavano le tasse e neppure versavano le trattenute Irpef fatte ai calciatori. Considerati gli stipendi miliardari, erano milionate di euro evasi», dice.
«Stigmatizzò il compromesso tra la Lazio e il Fisco».
«Le rateazioni sono per le aziende in crisi con lo scopo di salvaguardare l’occupazione. Pareva strano concederle a una squadra di calcio. Particolarmente inopportuna una rateazione di 23 anni, come ha ottenuto il presidente Lotito. Tanto più che compra calciatori a suon di milioni e vagheggia di costruire un nuovo stadio».
«Ha bollato la Rai che, strapagandolo, fece ballare Maradona in tv...».
«Assurdo mostrare alla tv di Stato uno che rifiuta di pagare al Fisco 61 miliardi in lire di tasse evase».
«Che ha ottenuto con la sua sgridata?».
«Maradona è apparso una volta in tv, poi disse di avere problemi medici e si fece rivedere in collegamento dall’Argentina. Poi sparì. Quanto meno, ho evitato di far guadagnare altri quattrini a un evasore conclamato».
«Riuscirà a incastrare il furbacchione?».
«Non ha beni in Italia. Ma se si riaffaccia, rischia l’arresto», dice senza cattiveria, ma con una voce che farebbe rabbrividire il pibe de oro se la sentisse.
Cos’era lei prima di essere leghista?
«Votavo Pli, senza occuparmi di politica. Poi, da commercialista, vidi le assurdità fiscali. Mi montò una certa rabbia e, proprio in quegli anni, nasceva la Lega».
Bossi è infermo. I giornali dicono che non comanda più.
«Non è più il capitano in campo, ma l’allenatore della squadra. Ben presente agli allenamenti, suggerisce la tattica».
Castelli non ha dato retta a Bossi che lo criticava per il rifiuto di graziare Sofri. Impensabile in passato.
«Il tema Sofri non è politico. Castelli ha preso la decisione su basi tecniche esercitando le responsabilità di ministro. L’episodio non mette in discussione l’autorità di Bossi. D’altronde, siamo tutti cresciuti dopo tante responsabilità di governo».
E Bossi deve fare un passo indietro.
«È ben contento che siamo diventati grandi. Ha lavorato anche per questo. Ma nessuno in Italia ha le sue capacità politiche. Per sua natura, Bossi è insostituibile».
Ottenuta la devoluzione non avete più ragione di esistere.
«C’è il federalismo fiscale, compito della prossima legislatura».
Poi vi scioglierete?
«Centriamo prima l’obiettivo. Ci vorrà tempo».
Rappresentate i pacifici padani, ma col cappio, le taglie, la castrazione chimica dei pedofili. Siete incivili?
«Spariamo alto per diradare la cortina fumogena della stampa che ci ignora».
Date l’impressione di selvaggi.
«Dipende, forse, dal fatto che siamo il gruppo più giovane del Parlamento. Una ventata di esuberanza, apparentemente facinorosa. Sono entrato alla Camera a 31 anni e non ero il più imberbe. Al Nord siamo pratici, senza troppe prolusioni in politichese».
Perché siete cocciutamente contro l’amnistia?
«La certezza della pena è uno dei punti sui quali abbiamo sempre insistito».
Salvo pretendere la scarcerazione dei Serenissimi di Venezia.
«In quel caso, la politica ha inciso sulla condanna».
Dal suo ministero è venuto il boccone amaro per la Cdl: niente sconti di tasse.
«È stata dura anche per me, se si riferisce all’Irap delle imprese. Per l’Irpef, è diverso. Uno che prende 22mila euro lordi l’anno, con famiglia a carico, ha pagato, nel 2005, 1550 euro di tasse meno che nel 2001. Uno sconto del 38 per cento. Quindi si è fatto. Mai abbastanza».
Per l’Irap invece?
«Abbiamo mancato. Il governo è in debito con le imprese. Va ridotta l’Irap su piccole e medie aziende, non sulle grandi come vuole Montezemolo».
Il Cav incolpa gli alleati se non ha mantenuto tutte le promesse.
«Doveva dire: “Esclusa la Lega”. Noi siamo stati in prima linea».
L’uscita di Follini è stata una liberazione?
«Follini era una mina vagante per la stessa Udc».
Dove ha sbagliato il governo che ora teme la sconfitta?
«Intervenendo un anno fa per abbassare l’Irap, con una spesa relativa, 4-5 miliardi ben utilizzati, oggi la situazione sarebbe diversa. Poi bisognava bloccare le contraffazioni cinesi. Dal tessile, all’uso del piombo nella rubinetteria».
Il Cav si mostra ottimista per le elezioni. Condivide?
«Partita aperta. Oggi stiamo molto meglio di sei mesi fa».
Che pensa del Cav?
«Grande comunicatore. Dà il meglio sotto elezioni. Con Bossi più presente a Roma, era più efficace. Bossi lo ispirava, dandogli una sponda notevole. Vedeva anche più in là del Cav. Se c’era un problema, Bossi tuonava e tutto rientrava. Era uno stabilizzatore del governo».
La faccenda Fassino Unipol che le dice?
«Che le Coop sono false mutue e vere grandi imprese. La sinistra ha sempre aiutato scientificamente la mega industria, siano esse Coop o Fiat. Avrà il suo tornaconto».
Ora, la Bnl va agli spagnoli. Contento?
«Accadrà come con la grande distribuzione passata ai francesi: se devono scegliere un prodotto, lo prendono in Francia non da noi».
Eliminati i Ds, la Bnl resta agli Abete e Della Valle, amici di Prodi e Rutelli.
«Una manovra destinata a favorire la Margherita e i vari Mastella e Follini. Un recupero del centro senza guardare in faccia nessuno».
Se considera della partita Follini, ci sarà anche Casini.
«Più o meno.

Follini si è solo esposto di più».
Che pensa di Prodi?
«Un parastatale ignaro dei problemi quotidiani della gente, ma molto attento agli intrighi di Palazzo».
Se vince Prodi, lei che fa?
«Vado all’opposizione e gli faccio la vita amara».

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