a figura femminile, di quasi insolente pesantezza fisica, di sgraziate forme, è elegantemente contenuta da un panneggio rosso di tagliente evidenza. Ma è, appunto, un contrasto, giacché tutto, nella donna, parla di sensi e di sensualità. E non solo, evidentemente, per il peso del corpo, mai così abbandonato, dilagante, neppure nei soggetti più crudi di Caravaggio, ma anche nel volto languido e lascivo.
Così che questa Cleopatra è un paradigma di realismo: in un vero e proprio innamoramento per Caravaggio, sia pure senza indulgerne nella ripetizione dei soggetti. E anzi con un ribaltamento sessuale. Il corpo ignudo e lascivo è, in Caravaggio, di regola, maschile: dall'Amore vincitore al San Giovanni Battista. Artemisia Gentileschi, simmetricamente, traduce quella visione al femminile. E l'impatto è ancora più forte, più evidente, sia rispetto ai modelli delle Veneri o delle Danae tizianesche (per non dire delle ignude bronzinesche), sia rispetto a quelli più vicini, quando non perfettamente contemporanei, di Guido Reni, di Guercino e dello stesso Orazio. Chi abbia in mente la classicissima Cleopatra di Guercino a Palazzo Rosso di Genova ricorderà un elegante languore, un equivalente pittorico del melodramma. Artemisia ribalta tutto. Il suo realismo è assoluto, immanente, senza nessuna concessione lirica o intimistica.
Perfino Caravaggio si mostra più prudente, e Cagnacci persegue una sensualità intellettuale, sofisticata. Raramente un nudo ha rinunciato nelle forme e nella posa ad ogni esterna gradevolezza. Noi, di questa Cleopatra, sentiamo gli odori, il sudore, la puzza. Difficile concepire volumi così eccedenti come quelli del braccio e della pancia di una Cleopatra mai meno regale. Una donna e basta, corpo prima che anima, esistenza prima che essenza. Artemisia dipinge il suo manifesto, non di indipendenza psicologica della donna, ma di libertà del corpo, libertà anche di perdere l'armonia.
Poi: la testa pensa, soffre. La morte si avvicina, i sensi la abbandonano, la coscienza si attenua. Quasi perdendo conoscenza, Cleopatra avverte un dolore lontano. Nel suo corpo e nella sua testa risponde l'animale. Ogni altro quadro dello stesso tempo, a paragone di questo, mostra una grazia, un'intenzione di far quasi dimenticare il gesto estremo, nella misura delle forme, nel deliquio di un'attrice che recita la parte in scena. La Cleopatra di Artemisia è una donna che muore e non ha tempo di pensare alle condizioni del suo corpo, di mettersi in ordine. Per essere presentabile Artemisia dipinge la Cleopatra impresentabile. Il dolore è vero dolore fisico, non è l'idea del dolore.
C'è forse una sovrapposizione autobiografica in questo volto che ne richiama altri nella pittura di Artemisia. La bellezza di quel volto cede alla smorfia, la lussuria dimenticata all'abbandono della carne.
Proprio in questa attribuzione a una donna di attitudini, solitamente riferite al mondo maschile, consiste l'elemento più nuovo del dipinto.
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