È un coro di condanne quello che si è sollevato ieri dalla comunità internazionale alla notizia, seppur attesa, della condanna del Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. La leader dellopposizione birmana, già detenuta per 14 degli ultimi 20 anni, sarà costretta per altri 18 mesi agli arresti domiciliari e quindi esclusa dalle elezioni del prossimo anno, «colpevole» di aver violato le regole della prigionia nella sua ormai tristemente nota casa sul lago Inya nellex capitale Rangoon. Qui avrebbe «ospitato» leccentrico americano mormone che a inizio maggio aveva nuotato fino alla sua residenza.
I giudici avevano inizialmente condannato Suu Kyi e le sue due domestiche a tre anni di reclusione con lavori forzati. Dopo alcuni minuti di sospensione è intervenuto quello che ironicamente i commentatori birmani hanno definito il deus ex machina: il ministro dellInterno, Muang Oo, è entrato in aula leggendo lordine del generale Than Shwe, numero uno del regime, che mitigava la pena. Le tre donne sono state riportate nella villa della «Signora». Lamericano 53enne John Yettaw, invece, è stato condannato a sette anni di carcere, di cui quattro ai lavori forzati. Ma a Rangoon circolano voci che abbia ricevuto uningente somma di denaro dai generali per inscenare il complotto.
La comunità internazionale ha reagito con indignazione. A partire dallOnu, che ha convocato durgenza il Consiglio di Sicurezza. Il segretario generale Ban Ki-moon, a cui il mese scorso Than Shwe aveva negato il permesso di visitare la premio Nobel, ha auspicato il suo rilascio «immediato e senza condizioni». Come pure il presidente americano Barack Obama. Il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha dichiarato che Suu Kyi «non doveva essere né giudicata né condannata». Mentre lUnione Europea ha prospettato nuove sanzioni contro il regime. Alla linea Ue aderisce in pieno la Farnesina. Il ministro Franco Frattini si è detto favorevole a unazione comune europea.
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