
Con Stefan Zweig. La fine di un mondo (Edizioni Ares) Raoul Precht è riuscito a concentrare sia l'esistenza sia il variegato lascito di uno scrittore considerato il massimo testimone dell'Europa che si autodistruggerà nelle due guerre mondiali, travolta da quella pulsione di morte di cui Freud che Zweig andava a trovare regolarmente - aveva dimostrato l'inestirpabilità. Operazione difficile, perché l'autore austriaco tende a fuggire da tutte le parti. L'enorme successo che gli arrise non cancella il fatto che ebbe un pubblico fondamentalmente diviso: i semicolti adoravano le sue biografie (Maria Antonietta, Maria Stuarda, Fouché...) perché molto accessibili, gli appassionati di storia della cultura si immergevano nel Mondo di ieri, mirabile ritratto di un'epoca tragica e irripetibile, mentre le menti congetturali furono sedotte dalla Novella degli scacchi, dove era adombrata la vicenda del banchiere Louis Nathaniel de Rothschild.
Rampollo di un imprenditore ebreo, vissuto a lungo nella cattolica e tranquilla Salisburgo (ma sempre in viaggio), Stefan Zweig (1881-1942) lasciò al fratello il compito di occuparsi della ditta e quanto al rapporto con la sinagoga, sarà a dir poco tiepido. In contatto con le figure più rilevanti della cultura italiana la madre era cresciuta ad Ancona ebbe legami fra gli altri con Pirandello e Croce, come lui esponente di una borghesia ricca, conservatrice e liberale. Mussolini era un suo fedele lettore, il che consentì a Zweig di scrivere una lettera al dittatore in cui lo pregava di ridurre la pena al dissidente che aveva avuto il fegato di portare in spalla la bara di Giacomo Matteotti. Mussolini accolse la richiesta. Personalità cosmopolita di grande e sincera generosità (aiutò anche Joseph Roth), Zweig è stato maltrattato dai germanisti italiani e snobbato dai massimi scrittori tedeschi.
La monografia di Precht, che a Zweig ha già dedicato un penetrante romanzo biografico, si candida a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile negli studi di un autore che merita di essere giudicato con maggiore equanimità.