Per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, truppe straniere sono state autorizzate a stazionare in Norvegia. Il primo contingente del Corpo dei Marine, decollato con un 747 dell’United Airlines da Camp Lejeune a Jacksonville, nella Carolina del Nord, è atterrato poche ore fa a Værnes, nei pressi di Trondheim, terza città più grande della Norvegia.
Secondo il Ministro della Difesa norvegese Ine Eriksen Søreide, il rischieramento dei 330 marine non dipende dalle condizioni di sicurezza nella regione e rientra nella formazione a lungo termine con gli Stati Uniti. L'obiettivo dichiarato della missione è quello di formare le truppe statunitensi nella guerra artica. I 330 Marine in rotazione semestrale, sono stati assegnati alla base di Vaernes, a 1500 chilometri dal confine con la Russia.
Secondo il Ministero della Difesa norvegere “è solo l'ultima di una serie di iniziative progettate per migliorare la collaborazione tra gli alleati europei per una maggiore sicurezza regionale ed una migliore cooperazione militare in caso di crisi”. Il Corpo dei Marine opera già in Europa orientale con la Black Sea Rotational Force, contingente in rotazione semestrale che effettua esercitazioni con i partner della Nato.
Esattamente un anno fa, circa duemila marine hanno raggiunto la Norvegia per partecipare alla Cold Response, la più grande esercitazione multinazionale nel paese degli ultimi 20 anni.
Marine Corps Prepositioning Program-Norway
Lo scorso febbraio, il Pentagono ha ultimato il rifornimento delle strutture norvegesi utilizzate come deposito dagli Stati Uniti durante la guerra fredda. La capacità di stoccaggio è stata riportata al 100%. Il Marine Corps Prepositioning Program-Norway, prevede il rischieramento di mezzi e materiali in grotte a temperatura controllata, da attivare in caso di emergenza a supporto di una MEB, Marine Expeditionary Brigade, formata da 15 mila soldati con rifornimenti completi per 30 giorni di attività operativa (combattimento reale). Il preposizionamento riduce il tempo di reazione, elimina la necessità di distribuire gli asset dagli Stati Uniti e gli oneri del trasporto strategico. Le otto grotte sono collocate in varie zone della regione di Trondheim. Tre grotte sono configurate per i mezzi terrestri, tre per le munizioni e due per il supporto aereo. La prima grotta è stata aperta nel 1982, mentre tutte le strutture sono state completate nel 1988. Le grotte sono gestite dal Marines' Blount Island Command che supervisiona tutti i programmi di preposizionamento del Corpo.
Il disappunto di Mosca
Lo scorso novembre, Frants Klintsevitsj, primo vice presidente del Commissione di Difesa e Sicurezza del Consiglio della Federazione, considerava la presenza del contingente statunitense in Norvegia come una minaccia diretta.
“Come dovremmo reagire a questa mossa? Fino ad oggi non abbiamo mai inserito la Norvegia nella lista degli obiettivi delle nostre armi strategiche, ma se questa è la loro decisione a soffrirne sarà il loro popolo. Dobbiamo reagire alle minacce militari ben definite e dirette. E’ giunto il momento di dire le cose come stanno, ma è evidente che il governo norvegese ha ricevuto pressioni dagli americani. Accumulano forze e costruiscono infrastrutture per possibili blitz globali e questo ci preoccupa enormemente. Sappiamo che si stanno ammassando diversi asset in Norvegia. Naturalmente, lo Stato Maggiore Russo dovrà aggiornare la lista degli obiettivi per la lotta contro le possibili minacce”.
Posizione ribadita poche ore fa da Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, in un'intervista all'emittente pubblica norvegese NRK.
“E’ una mossa che di certo non migliorerà le relazioni. Il rapporto tra la Norvegia e la Russia è adesso messo alla prova. Invece di sviluppare la cooperazione economica, la Norvegia ha scelto di ospitare le truppe degli Stati Uniti”.
Il ruolo della Norvegia nelle operazioni sottomarine
“L'ex base di Olavsvern, in Norvegia, è ideale per supportare le operazioni sottomarine nell'estremo nord Atlantico e nell’Artico. Le priorità, a fronte della nuova attività russa, devono essere rivolte nel garantire le vie commerciali e la sicurezza delle infrastrutture critiche. Ed, infine, mantenere la capacità di rispondere ad un’aggressione e sconfiggerla”. E’ questa la conclusione del rapporto a cura del Center for Strategic & International Studies consegnato a Washington lo scorso luglio, sulle “nuove sfide poste dall’aumento dell’attività sottomarina russa”.
La base di Olavsvern è al centro della nuova architettura di difesa per fronteggiare “la strategia di negazione del mare di Mosca ed il suo nuovo approccio stratificato nel Nord Atlantico”.
Durante la guerra fredda, le unità norvegesi e della NATO utilizzavano Olavsvern, nei pressi di Tromsø, come base di approvvigionamento per i pattugliamenti nel Mare di Barents e per monitorare il traffico sottomarino proveniente dalla costa della penisola di Kola, ad ovest di Murmansk. Olavsvern, venduta alla società Triko AS nel febbraio del 2013, infine, era la base ideale per la proiezione dei sottomarini d’attacco nella regione, rispetto alle strutture navali esistenti in Europa e Nord America. Per i 46 anni della guerra fredda, l’arma navale sovietica più temuta era quella sottomarina. Inizialmente, era concepita come una minaccia per l’utilizzo occidentale delle rotte di navigazione dell’Atlantico per rafforzare e sostenere l’Europa nel caso di un assalto. Successivamente, i sottomarini sovietici equipaggiati con missili strategici divennero la minaccia numero uno per l’Occidente.
Il Cremlino ha ripreso i pattugliamenti strategici oceanici a copertura di possibili obiettivi, in attesa dei sottomarini classe Borei che attendono la fine dei test sui nuovi missili Bulava per svolgere il loro ruolo primario. I pattugliamenti strategici oceanici e lungo le latitudini meridionali erano stati sospesi dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Oggi la flotta sottomarina russa ha aumentato la sua attività a livelli che non si vedevano da prima della fine della guerra fredda. Schierati nella Flotta del Nord, i sottomarini classe Delta IV rappresentano l’ultima evoluzione della classe entrata in servizio nel 1972. Equipaggiati con dodici missili SS-N-23 Skiff, ognuno dei quali dotato di quattro testate MIRV da 100 kilotoni, rappresentano l’attuale spina dorsale russa del deterrente strategico.
Il timore degli Usa è rappresentato proprio dall’accesso verso l’Atlantico: la via di rifornimento principale, cioè, qualora dovesse scoppiare un crisi in Europa. Durante la guerra fredda, gli aerei da pattugliamento marittimo erano sempre in volo nel GIUK gap, braccio di mare tra la Groenlandia, l’Islanda ed il Regno Unito per la rilevazione acustica dei sottomarini sovietici. Le flotte MPA (Maritime Patrol Aircraft) furono dismesse dopo la fine della guerra fredda. L’Olanda ha venduto le sue piattaforme P-3 Orion nel 2003. L’intera flotta MPA inglese fu soppressa nel 2010 a causa di tagli alla spesa militare. Altri paesi come Germania, Italia, Francia e Canada, hanno annullato l’acquisto di nuove piattaforme MPA per modernizzare le flotte attuali. La NATO, infine, stima che l’Europa dimezzerà la sua flotta MPA entro il prossimo decennio (alcuni velivoli sono entrati in servizio negli anni ’80). Anche gli Stati Uniti hanno ritirato dall’Europa la propria forza Maritime Patrol Aircraft. Basti pensare che dai due squadroni presenti durante la guerra fredda, il Pentagono mantiene oggi soltanto cinque velivoli. Nel 2006, gli Stati Uniti hanno dismesso anche la base aerea di Keflavik, luogo chiave per le pattuglie MPA e per la rete idrofonica. La situazione dovrebbe cambiare entro i prossimi quattro anni. Il Regno Unito ha confermato che ricostruirà la sua capacità MPA entro il 2020 attraverso l’acquisto di piattaforme P-8 Poseidon, mentre gli Stati Uniti hanno nuovamente investito risorse per riattivare a pieno regime le strutture di Keflavik dove saranno schierate pattuglie in rotazione, anche se tali forze non risponderebbero alla necessità crescente che il contesto sottomarino impone. Le basi di Andøya e Evenes, nella Norvegia settentrionale, sono già state visionate dagli americani.
Nel rapporto del CSIS si raccomanda agli Stati Uniti di “sfruttare le relazioni bilaterali con la Norvegia al fine di sviluppare ed implementare una nuova generazione di sistemi per il rilevamento sottomarino e snellire la procedura di manutenzione ed assistenza tra i membri della NATO operanti nelle missioni di sorveglianza. I sottomarini della NATO hanno utilizzato questa importante base come un hub di rifornimento per lo svolgimento di lunghi pattugliamenti ASW nella regione. La riapertura dell'intera struttura avrebbe un costo proibitivo, ma la Norvegia potrebbe nazionalizzare e riaprire un parte della base per sostenere la presenza delle forze in rotazione di Stati Uniti, Regno Unito e Francia”.
Oggi la Russia ha in servizio attivo circa 50 sottomarini. L’Unione Sovietica nel 1957 aveva in servizio attivo circa 450 unità.
Dal 1945 al 1991, l’Unione Sovietica ha prodotto 727 sottomarini: 492 a propulsione diesel-elettrica e 235 a propulsione nucleare. I tassi di costruzione erano mediamente di quasi 16 sottomarini all’anno per i sovietici e di 4,6 per gli Stati Uniti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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