Alfano: «L'Italia e Roma nel mirino dei terroristi»

Relazione del responsabile degli Interni alla Camera: il nostro Paese e la capitale «obiettivi non secondari»

RomaIl Bel Paese nel mirino del Califfato. Parola di Angelino Alfano che nell'informativa alla Camera sul terrorismo di matrice religiosa spiega che l'Italia, e Roma in particolare, sono obiettivi «non secondari» dello Stato islamico. E così, mentre il governo è alle prese con la protesta delle forze dell'ordine che minacciano lo sciopero se continuerà il blocco dei tetti salariali, è allerta per i propositi dell'Is sul nostro territorio, anche se il titolare del Viminale aggiunge che fino a ora non ci sono «evidenze investigative di progettualità terroristiche nel nostro Paese».

Già all'inizio dello scorso luglio il «califfo» Abu Bakr al-Baghdadi aveva inserito la Città Eterna, «culla della cristianità», tra gli «obiettivi» dell'avanzata militare dell'Isis: «Se avrete fiducia, conquisterete Roma e il mondo intero, se Allah vuole», aveva detto il leader dell'Is in un messaggio audio diretto ai «soldati dello Stato islamico». Un annuncio che non è stato preso sottogamba. Anche perché il terrorismo fondamentalista «veste anche abiti europei, lanciando una sfida senza precedenti alla sicurezza globale», e dunque «richiede la massima vigilanza e interesse verso ogni segnale premonitore, anche il più tenue», rimarca il ministro dell'Interno. Ricordando che anche l'Italia è interessata dalla campagna internazionale di reclutamento lanciata dall'Is, le cui fila sono ingrossate dai jihadisti provenienti dall'Occidente. Fino a ora, rivela Alfano, almeno 48 persone hanno combattuto in Siria dopo essere passate sul suolo italiano, e due di queste avevano il passaporto tricolore: un cittadino d'origine marocchina e il 23enne genovese Giuliano Delnevo, ucciso a giugno 2013 mentre combatteva contro il regime di Bashar al-Assad.

Per il ministro, anche l'Italia dovrebbe dotarsi di nuove norme antiterrorismo contro i jihadisti di casa nostra, i «foreign fighters», dei quali traccia l'identikit: «immigrati di seconda generazione ai quali viene promessa stabilità anche economica», in cambio dell'«arruolamento» alla causa del Califfato. Perciò secondo Alfano è necessario poter «contestare il delitto di partecipazione a conflitti fuori dai nostri confini» anche quando ad agire è un «lupo solitario», non legato a sigle terroristiche né impegnato a reclutare, così come bisogna «consentire la sorveglianza speciale dei soggetti a rischio, con l'obbligo di dimora».

Di certo, la sfida lanciata dal Califfato rappresenta una «nuova minaccia», insiste Alfano, ricordando che, come spiega lo stesso nome dell'organizzazione, l'Is «intende porsi come una vera e propria soggettività statuale» e già controlla e amministra un territorio, oltre a poter contare su «flussi finanziari derivanti dalle attività illegali quali sequestri e contrabbando». Difficile, peraltro, quantificarne le forze in campo, con le stime che vanno dai «circa diecimila uomini» ai centomila. Una «forte approssimazione» che secondo il ministro dell'Interno è appunto «frutto dei metodi di reclutamento». La sfida è senza precedenti, perché «di fronte abbiamo un'organizzazione che ha ambizioni, soldi, uomini pronti a combattere come nessun'altra aveva mai avuto».

In Italia «resta alta l'attenzione» verso associazioni islamiche e moschee, pur senza pregiudizi, e «non si può escludere» nemmeno il rischio che con i clandestini possano sbarcare «persone legate alla minaccia del terrorismo». Insomma, l'Is è una «sfida alla sicurezza globale che necessita di una risposta globale». E costringere le nostre forze dell'ordine a scioperare non sembra la risposta giusta.

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