L'effetto dell'appoggio armato americano è evidente: grazie ai bombardamenti aerei ordinati (seppure con evidente malavoglia) da Barack Obama, non solo i peshmerga curdi sono riusciti a strappare ai jihadisti dello «Stato islamico» la strategica diga di Mosul che se fosse stata distrutta avrebbe provocato una catastrofe immane e lasciato senza corrente mezzo Iraq, ma si stanno organizzando per lanciare un'offensiva verso la stessa Mosul. La seconda città dell'Iraq è caduta da mesi nelle mani del «califfo» al-Baghdadi e rappresenta un simbolo vistoso dei suoi successi militari, mentre gli altri e più oltraggiosi effetti di quei successi sono i massacri dei civili appartenenti alle minoranze religiose (cristiani, yazidi, musulmani sciiti) caduti nelle mani della sua orda di assassini.
La grave minaccia portata dall'esercito di al-Baghdadi è stata finalmente compresa a livello internazionale e sta portando a una progressiva reazione a guida occidentale. Paradossalmente si va riformando una copia di quella «coalizione dei volenterosi» messa a suo tempo insieme da George W. Bush contro Saddam Hussein. Il principale aderente è (proprio come accadde undici anni fa) la Gran Bretagna, che ha annunciato di essere pronta a partecipare «per mesi» con la propria aviazione militare agli attacchi contro i jihadisti. Già pronta ad agire militarmente è anche l'Australia, mentre come è noto venerdì scorso i ministri degli Esteri dell'Ue riuniti a Bruxelles hanno concordato sulla necessità armare i curdi in Iraq «in accordo alle capacità e alle leggi nazionali degli Stati membri».
L'Italia, tipicamente, è un po' in ritardo. Solo domani il governo informerà il Parlamento, e dopo il voto dell'aula l'invio delle armi ai peshmerga potrà avvenire nel giro di due o tre giorni. Considerata l'abitudine dei miliziani curdi di utilizzare obsoleti armamenti di fabbricazione sovietica, si parla della spedizione di circa trentamila fucili mitragliatori kalashnikov, cui potrebbero aggiungersi le tonnellate di munizionamento sequestrate nel 1994, all'epoca delle guerre balcaniche, a una nave da trasporto partita dall'Ucraina e diretta a Spalato. Dai nostri arsenali potrebbero uscire pure qualche vecchia mitragliatrice Browning o fucili mitragliatori Mg. Possibile anche la fornitura di puntatori laser, dispositivi anti-bomba, giubbotti antiproiettile, sistemi di comunicazione radio.
Il governo, per bocca del senatore del Pd Nicola Latorre, sostiene che è giunto il momento per l'Italia «di dimostrare di essere un grande Paese» e «sapersi assumere le proprie responsabilità». Ma naturalmente c'è chi dice no in nome di un ottuso pacifismo, come il Movimento 5 Stelle che prepara una risoluzione parlamentare contraria all'invio di armi. Si distingue tra i deputati grillini Alessandro Di Battista, che dopo aver sostenuto nei giorni scorsi l'opportunità del dialogo con i terroristi, torna a ribadire che il terrorismo è «la sola arma di chi si ribella: se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche non violente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in una metropolitana».
A parte Marco Pannella, per il quale «Di Battista ha buone ragioni, sappiate leggerle», queste parole hanno provocato generale indignazione. Particolarmente greve la polemica tra grillini e leghisti: i primi hanno dato del «maiale» al leader dei secondi Matteo Salvini, che replica «meglio maiale leghista che grillino islamista».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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