Atenei britannici puniti se non si laureano abbastanza neri

Nel documento proposto dal ministero dell'Istruzione britannico sono state studiate nuove linee guida per migliorare l'accesso degli studenti nelle università, con particolare attenzione verso coloro che provengono da situazioni di povertà o che appartengono a minoranze etniche come quelle nera

Atenei britannici puniti se non si laureano abbastanza neri

Il tema dell'inclusione sociale è ben noto nel campo dell'istruzione pubblica, dove spesso studenti provenienti da categorie svantaggiate riscontrano numerose difficoltà nel portare a termine il proprio ciclo di studi, andando ad incrementare il fenomeno della dispersione scolastica. Per cercare di risolvere questo annoso problema, nel Regno Unito è stata recentemente presentata una proposta che mira alla revisione dei parametri nazionali di accesso alle università, allo scopo di favorire il processo di integrazione ed una più equa partecipazione delle minoranze. Secondo i piani annunciati dall'Office for Students - l'ente pubblico dipendente dal ministero dell'Istruzione che funge da autorità di controllo per gli atenei britannici - d'ora in avanti le università del paese non potranno infatti più decidere autonomamente i criteri in base ai quali ammettere agli studi i ragazzi provenienti da famiglie povere o facenti parte di qualche minoranza etnica, ma dovranno attenersi ad una serie di obiettivi nazionali decisi direttamente dal ministero. Nel caso non dovessero rispettare i nuovi parametri le università rischiano di incorre in sanzioni di vario livello, che possono arrivare anche alla revoca del riconoscimento statale da parte del governo, con conseguente taglio di tutti i fondi pubblici destinati ad esse.

Come precisato poi dallo stesso Office for Students, la misura punta inoltre a diminuire l'abbandono universitario da parte degli studenti neri, una componente scolastica che malgrado sia sensibilmente aumentata negli ultimi anni - di quasi il 50 per cento tra il 2007 ed il 2016 - continua a mostrare difficoltà nel portare a termine il percorso di studi superiori, con il 53 per cento degli studenti neri laureatisi lo scorso anno contro il 78 per cento dei loro compagni bianchi. Un'inchiesta pubblicata venerdì dal quotidiano inglese The Guardian mostra oltretutto come questo genere di disparità etnica non sia presente solo tra gli studenti ma anche tra i professori universitari: su 14.205 docenti uomini infatti, oltre 12.000 sono bianchi mentre quelli neri sono solo 90; percentuali simili riscontrate anche tra le 4.735 professoresse, con più di 4.000 donne bianche contro 25 nere.

Particolarmente soddisfatto della nuova proposta è il direttore dell'Office for Students Chris Millward, che in un suo intervento pubblicato sul Daily Telegraph non esita ha muovere critiche all'attuale sistema universitario britannico: "Non dubito che gli atenei si stiano impegnando già adesso a migliorare l'accessibilità scolastica per gli studenti. Stanno spendendo un sacco di soldi e stanno facendo molto, ma non riescono a capire se ciò che stanno facendo sta funzionando o meno". -aggiungendo - "Non sto mettendo in discussione la politica delle borse di studio, anche perché spesso gli studenti provenienti da famiglie svantaggiate sono messi in difficolta dai costi delle spese universitarie. Ma il punto è che non ci sono abbastanza prove che le borse di studio favoriscano l'accesso nelle università, queste sono questioni ovvie per le quali c'è bisogno di ulteriori valutazioni. Dobbiamo capire perché vengono spesi tutti questi soldi e quale impatto hanno sugli atenei".

Riscontri positivi arrivano anche da Tim Broadshaw, amministratore delegato del Gruppo Russell - un'associazione di ventiquattro atenei pubblici britannici specializzati nella ricerca - che ha dichiarato: "Si sta facendo molto per migliorare l'accesso scolastico in tutto il settore, ma ciò di cui abbiamo

bisogno ora è una visione chiara di quali interventi possono fare realmente la differenza. Dobbiamo essere chiari su quali aspetti bisogna lavorare e su quali invece no, se vogliamo finalmente far cambiare le cose".

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