In Australia, nello Stato di Victoria, è stata appena varata la prima legalizzazione dell’eutanasia nella storia del Paese.
Il parlamento di Melbourne ha infatti depenalizzato il suicidio clinico, configurandolo come un “diritto inalienabile” spettante alle persone affette da “malattie suscettibili di arrecare sofferenze insopportabili all’organismo umano”. In particolare, potranno ricorrere a trattamenti letali soltanto soggetti con più di 18 anni di età che abbiano “non più di sei mesi di speranza di vita”.
In base alla nuova legge, gli individui giudicati dai medici come “non in grado di guarire” dalle patologie che li hanno colpiti potranno sottoporsi a eutanasiadopo avere sottoscritto “senza alcuna costrizione esterna” un’apposita dichiarazione predisposta da specifiche commissioni sanitarie costituite presso ogni ospedale dello Stato di Victoria. Una volta espresso per iscritto il proprio consenso a ricorrere al suicidio clinico, i malati terminali verranno condotti dal personale infermieristico dei nosocomi in una “saletta riservata”, dove troveranno un apposito “kit” contenente le sostanze chimiche essenziali a mettere a punto il proprio “mix tossico”.
Ogni soggetto deciso a togliersi la vita, secondo la nuova legge, sarà infatti tenuto a preparare da sé, seguendo un foglietto delle istruzioni consegnatogli in precedenza dagli stessi infermieri, un composto letale, che dovrà poi bere e che gli procurerà prima un “progressivo stordimento” e infine, entro un’ora, la morte.
Il liquido in questione dovrà essere approntato dai malati mescolando diversi acidi e barbiturici, tra i quali figura anche il pentobarbital, utilizzato negli Usa nelle condanne a morte tramite iniezione letale.
Il primo ministro dell’entità federata, il laburista Daniel Andrews, ha difeso con forza la controversa legge presentandola come uno strumento diretto a riconoscere finalmente ai cittadini in preda a tormenti indicibili il diritto di compiere una “scelta di libertà e di dignità”. Al contrario, l’Australian Medical Association, ossia il sindacato nazionale dei camici bianchi, ha esternato “totale contrarietà” alla riforma da poco in vigore nello Stato di Victoria, affermando che le sofferenze dei pazienti vanno alleviate, piuttosto che con il suicidio clinico, con “migliori trattamenti palliativi”.
Una netta condanna verso la recente normativa è stata espressa anche dalla Chiesa cattolica australiana. La Conferenza episcopale del Paese ha infatti diramato un comunicato che recita: “La missione del medico è sacrificare ogni secondo del proprio tempo per preservare la sacralità della vita del malato e per individuare soluzioni adatte a ristorarne il corpo e lo spirito. È quindi inaccettabile che un operatore sanitario si trasformi in un angelo della morte e metta a disposizione di persone emotivamente devastate tutto il necessario per favorirne il rapido decesso”.
A detta dei media locali, i parlamenti di altre entità federate, come l’Australia Occidentale e il Queensland, starebbero già vagliando l’ipotesi di approvare normative analoghe a quella appena introdotta nello Stato di Victoria.
Nella storia australiana, la prima legalizzazione dell’eutanasia era stata in realtà varata dal governo del
Territorio del Nord. Nel 1996, tale ente territoriale aveva infatti depenalizzato il suicidio clinico, ma la riforma in questione sarebbe rimasta in vigore appena nove mesi, per poi essere annullata dalle autorità di Canberra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.