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Tra il califfo e l'ayatollah Doppia minaccia per l'Europa

Gli sciiti attendono il ritorno del Mahdi, il vero imam che giungerà alla fine dei tempi. I fanatici, per favorirne l'avvento, sono disposti a scatenare l'apocalisse (anche atomica)

Tra il califfo e l'ayatollah Doppia minaccia per l'Europa

A nzitutto, si tratta di capire dov'è il fronte. In realtà, esso è molto vasto e frastagliato: in una parola possiamo dire che esistono due forze islamiche che, come uno schiaccianoci, cercano di afferrare la nostra testa, per frantumarla (be', spesso siamo noi stessi a porgergliela: mi appare come in un film la testa bionda di Federica Mogherini, Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, molto gentile e sorridente, che si protende verso la faccia soddisfatta di Muhammad Zarif per siglare l'accordo, mentre lui la guarda con un'espressione da lupo cortese: «Per mangiarti meglio, bambina mia!»), ripromettendosi la nostra cancellazione. Anzi no, prima la nostra sottomissione. La parte sunnita, maggioritaria nel mondo islamico (i sunniti sono circa l'80 per cento dei musulmani), ricca e potente grazie al petrolio, ha dato vita, fra le tante altre organizzazioni (la Fratellanza Musulmana anzitutto, un travestimento dell'estremismo islamico mangiatutto) all'Isis dopo Al-Qaeda, i talebani, Jabhat al-Nusra, Hamas, Boko Haram...: un mondo grande, suddiviso in molte realtà. Invece gli sciiti, che pure dispongono di varie milizie (Hezbollah, houthi...) e parecchie sottobranche, sono e si sentono una minoranza ed esigono un risarcimento per essere stati a lungo le vittime di un fratello maggiore che li giudica con evidente disprezzo e anche, molto spesso, come nemici mortali. Consideriamo come oggi l'Isis si avventi con crudeltà cannibalesca contro i propri fratelli sciiti: la prima cosa che fa quando occupa un villaggio o un edificio, è di domandare chi sia sciita. Costoro saranno uccisi per primi, mentre a chi afferma di essere sunnita vengono richieste, a conferma, prove, nomi, indirizzi, ricordi, la recita di preghiere. Dopo questo sommario processo, se non credute, le vittime subiscono spesso l'orribile sorte riservata agli idolatri e ai corruttori della propria religione: la morte nel terrore, in ginocchio, dopo aver chiesto perdono e aver giurato fedeltà al nemico che sta per decapitarli o sparare loro alla nuca. Gli sciiti hanno sofferto molto per mano dei loro compagni di fede in Allah e nel suo profeta Muhammad, e a volte ci si chiede come una differenza dottrinale come quella che li distingue dai sunniti possa provocare il maggiore fra tutti gli attuali spargimenti di sangue del mondo. Eppure la differenza consiste in questo: il Profeta morì nel 632 e i suoi compagni scelsero come successore Abu Bakr, che divenne il primo califfo, senza alcun ruolo religioso fondamentale, ma con il dovere di garantire la continuità della marcia vittoriosa del Profeta sui territori circostanti e oltre. Un ruolo politico e militare, insomma: il leader era un guerriero che doveva indicare la strada per vincere e conquistare il mondo alla luce delle regole del Profeta. Invece il gruppo avverso, gli sciiti appunto, ritenne che il genero di Maometto, Ali, dovesse diventare il capo, nonché la guida spirituale che doveva condurre l'Islam alla conquista del mondo e, per ottenerla, alla palingenesi violenta. A Karbala, nell'attuale Iraq, nel 680 una coalizione di omayyadi e yazidi sconfisse le truppe di Hossein, secondogenito di Ali. L'Islam si scisse tra i seguaci dei califfi e i seguaci del «casato di Ali», shiat 'Ali, cioè gli sciiti. Hossein è considerato il primo martire della storia, e il martirio occupa una posizione centrale nella dottrina teologica sciita. I seguaci di Ali furono perseguitati, cacciati dai territori arabi e col tempo si insediarono nell'Impero persiano, che si convertì interamente allo sciismo all'inizio del XVI secolo. A Karbala gli sciiti continuano da secoli ad andare in pellegrinaggio, maturando la rabbia e la volontà di vendetta contro gli usurpatori sunniti. La maggioranza degli sciiti appartiene alla corrente dei duodecimani, perché crede nella sequenza di dodici imam succeduti a Maometto. Secondo gli sciiti, dopo lo scisma, il dodicesimo imam, Muhammad ibn Hossein al-Mahdi, nato nell'869 e diretto discendente di Ali, a 72 anni è sparito d'un tratto misteriosamente per sfuggire ai nemici. Nel suo «divino nascondimento» egli prepara il suo ritorno e la venuta del giorno del giudizio. In ogni epoca il ritorno del Mahdi è sempre stato annunciato come vicino. Oggi lo si ritiene imminente. Quindi, ci siamo, e mal ce ne incoglie. Anche se le differenze teologiche sono minime, gli sciiti hanno sviluppato pratiche diverse e differenti interpretazioni dei testi sacri, che agli occhi dei sunniti sono un'eresia punibile con la morte. Inoltre considerano gli imam, i loro leader religiosi, come uomini ispirati da Dio. Il loro grido di vendetta è stato però messo a tacere, ed essi hanno sviluppato nei secoli il concetto di taqiyya (tradotto in idtirar per il mondo sunnita), la dissimulazione, che permette di contravvenire ai precetti islamici e, in sostanza, di mentire per la salvezza della propria vita e per il bene superiore della comunità, un atteggiamento che richiama la politica dei leader iraniani oggi... Relegati a minoranza perseguitata, loro che credono di essere i veri eredi di Muhammad, gli sciiti hanno sempre coltivato la dottrina della jihad. Ma le condizioni storiche tenevano i leader religiosi lontani dalla politica, assegnando loro solo il ruolo di guide spirituali e giurisperiti del potere politico. È Khomeini che cambia tutto e riporta il potere politico nelle mani degli ayatollah, delle guide religiose, sconvolgendo l'intero Islam e promettendo la rivincita sciita sul mondo islamico. Una rivincita destinata a stravolgere la supremazia sunnita che aveva perseguitato e umiliato gli sciiti ovunque e cui gli sciiti aspirano ancora con la lotta per la guida dell'Islam.L'attesa del ritorno del Mahdi ha aiutato gli sciiti a sopravvivere alle più terribili sofferenze e all'oppressione esercitata dalla maggioranza sunnita, che li ha sempre ritenuti traditori del Corano e idolatri dei loro imam; li ha ispirati direttamente nelle loro scelte politiche dal 1979 in avanti, quando la rivoluzione islamica ha preso il sopravvento in Iran e Khomeini si è autodefinito il rappresentante del Mahdi nel primo governo di Allah nel mondo; e li ha aiutati a organizzarsi e a restare uniti, talvolta con grande successo. Anche questo è un disegno che si ripresenta nel tempo: accadde la stessa cosa, per esempio, con la presa del potere della dinastia safavide in Persia, nel 1500, grazie alla quale l'antica nazione, divenuta Iran, si fece per sempre Paese sciita per eccellenza. Gli sciiti sanno che le loro sofferenze avranno fine, insieme a tutte le ingiustizie che gravano sul mondo, quando il Mahdi verrà. E i segni dicono che bisogna prepararsi, che la sua venuta è vicina. Lo spiegano nei dettagli l'ayatollah Khamenei e Hassan Nasrallah, il capo degli sciiti libanesi e leader di Hezbollah, le due personalità destinate a guidare la preparazione dell'avvento. Il Mahdi apparirà, ha ripetuto più volte Ahmadinejad, «quando il mondo sarà caduto nel caos e divamperà la guerra fra razze umane, senza ragione». Cioè, per far ricomparire il Mahdi ci vuole una conflagrazione mondiale, e gli studiosi spiegano quindi con chiarezza che la Repubblica Islamica dell'Iran cerca con grande determinazione di creare una situazione esplosiva. Non si preoccupa affatto, come faremmo noi, di un'eventuale guerra, tanto meno di una guerra atomica, pur di realizzare le condizioni dell'avvento del Mahdi. Anzi, si adopera per favorire quelle condizioni.

Non tutta la leadership iraniana ci crede, ma l'influenza del mahdismo è grande.

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