Cinque parole per capire (davvero) l'islam

Sono oltre 1,8 miliardi i musulmani nel mondo. Ma chi sono realmente? In cosa credono e cosa vogliono?

Cinque parole per capire (davvero) l'islam

Difficile parlare di islam. Ancora più difficile, a volte, comprendere cosa sia realmente questa religione praticata da 1,8 miliardi di persone (il 23% della popolazione mondiale). In seguito agli attentati alle Torri Gemelle, la confidenza nei confronti di termini come jihad, umma, haram e hadit è andata di pari passo con la diffidenza nei confronti dei seguaci di Maometto. L'avvento dello Stato islamico e la lunga serie di attentati che hanno colpito l'Europa hanno fatto il resto. Ma chi sono davvero i musulmani? In cosa credono? E soprattutto: che cosa vogliono? Per fare un po' di chiarezza abbiamo deciso di analizzare alcune parole che ci aiutano a comprendere maggiormente questa religione.

La radice slm in arabo significa, spiega il Dizionario dell'islam (Jaca Book) a cura del grande storico delle religioni Mircea Eliade, "essere in pacce, essere sano, integro". Da qui derivano sia la parola islam, ovvero "sottomettersi alla legge di Dio così da essere integro" sia muslim, ovvero colui che attua questa sottomissione. Sono questi i musulmani.

Migliaia di persone marciano compatte sotto la debole luce dell'alba. Si sono messe in viaggio per evitare il terribile sole iracheno che tutto brucia. Sono impolverate e stanche, ma faranno di tutto pur di arrivare a Karbala, il luogo in cui, il 10 ottobre del 680, Husayn Ibn 'Ali, pronipote del profetta Maometto e terzo imam dei musulmani sciiti, cadde in battaglia. È il giorno di ashura. Il giorno del lutto e del sangue. Uomini, donne e bambini si percuoto il petto in segno di sofferenza e di dolore. Alcuni si spingono oltre e, novelli flagellanti, si infliggono terribili ferite con lame e aghi finissimi. Vogliono provare lo stesso strazio dei loro avi. In realtà, come spiega il Dizionario dell'islam (Jaka Book), la storia di questa ricorrenza affonda le sue radici nella tradizione ebraica e "il suo significato generale come giorno del digiuno per i musulmani deriva dai riti dello Yom Kippur ebraico (giorno dell'espiazione). Il termine arabo ʿāshūrāʾ è costruto sulla parola ebraica 'asor con la desinenza determinativa aramaica". Le tradizioni spesso si sfiorano, talvolta si fondano e sempre evolvono. E fu così che la morte di Husayn cambiò tutto: "Quando il popolo di Kufa vide la testa dell'imam martirizzato e le pietose condizioni dei prigionieri, prese a battersi il petto, colto dal rimorso di aver tradito il nipote del profeta, il figlio ed erede di 'Ali'". Dal digiuno si passò così al dolore. Nel 962, a Baghdad, l'ashura fu dichiarato giorno di lutto. Nel 1501, invece, con l'inizio della dinastia safavide, che adottò lo sciismo come religione di Stato in Iran, l'ashura si diffuse prima nel subcontinente indiano e poi in tutte quelle regioni che avevano legami più o meno forti con i Safavidi.

Forse pochi lo sanno, ma quelle persone ferite e lacerate stanno compiendo la loro jihad. Con questo termine, infatti, si indica innanzitutto lo "sforzo verso un fine meritorio". "In contesto religioso - si legge nel Dizionario dell'islam - può significare la lotta contro le nostre cattive inclinazioni, oppure gli sforzi per elevare moralmente la società, o per la diffusione dell'islam". Se vogliamo trovare similitudini con il cristianesimo, potremmo paragonarlo al combattimento spirituale, alla lotta del bene contro il male. Il jihad è innanzitutto una questione spiriturale. Ma può anche esserlo militare, anche se non possiamo parlare di guerra santa in quanto per i musulmani non esistono guerre sante e guerre secolari: "Tutte le guerre fra musulmani e infedeli, ed anche fra gruppi diversi di musulmani, dovrebbero definirsi jihad, pur se combattute, come nella maggior parte dei casi, per ragioni prettamente secolari. L'aspetto religioso, quindi, si riduce alla certezza dei singoli combattenti che, se saranno uccisi, andranno in paradiso".

"Verbum caro factum est et habitavit in nobis". Così il Vangelo di Giovanni: "Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Nell'islam la prospettiva si ribalta. Dio non scende sulla terra, non si fa carne e non sopporta i peccati del mondo. Allah rimane in cielo e parla grazie a Maometto, il suo profeta, attraverso 22 anni (610-632) di rivelazioni. Non si fa carne, ma carta. Fa rivelazioni, senza però rivelarsi. Per i musulmani il Corano è tutto: "Come nessun'altra forza (...) ha plasmato i valori e la visione della vita per la comunità islamica. Continua ad essere un potente fattore vitale nel mondo contemporaneo, proprio come nel passato è stato un elemento formativo fondamentale della cultura islamica", si legge nel Dizionario dell'islam. Composto da 114 capitoli (sure), il Corano contiene tutto ciò che l'uomo deve sapere. Contrariamente a quanto si possa pensare, il testo sacro dell'islam non segue né un ordine logico né cronologico. Le varie sure, infatti, vanno dalla più lunga alla più breve, segno che "da principio furono conservate soprattutto per mezzo della recitazione orale, poiché erano destinate ad essere ascoltate, non lette". I concetti spesso si ripetono o rimangono in sospeso. L'obiettivo, infatti, era quello di creare il giusto ritmo per la recitazione: "Chiunque sia responsabile dell'ordine dato ai materiali del Corano, ossia il Profeta stesso o qualcuno dopo di lui, non l'ha certo strutturato come un libro scorrevole, che presenti idee in modo chiaro e strutturato, ma come un testo per la recitazione". Resta davvero singolare il Corano non citi nessuno dei grandi profeti scrittori dell'Antico testamento...

Hasan al Banna è un nome che ci dice poco. Eppure, il suo pensiero politico e religioso determina ancora oggi il nostro presente. Nasce nel 1906 in Egitto e fa il maestro, come suo padre. Religiosamente inquieto, si avvicina sempre di più al sufismo per costruirsi un suo islam, il più simile possibile a quello del profeta. La Fratellanza musulmana, così la definì Hasan al Banna, doveva comprendere tutto: doveva essere "un'organizzazione politica, un gruppo atletico, un'unione culturale e didattica, una compagnia economica e un'idea sociale". In Egitto c'è bisogno di qualcosa di simile. La guerra, poi, fa il resto. Hassan al Banna, intanto, comprende che la situazione può diventare esplosiva da un momento all'altro e, in segreto, inizia ad accumulare armi. Gli attacchi dei fratelli musulmani contro le autorità si fanno sempre più frequenti e così nel 1948 il movimento viene messo fuori legge. Ma durerà poco. Nella lotta per il potere in Egitto i fratelli musulmani sono un elemento importante. Verranno prima riabilitati e poi messi fuori legge da Nasser. Sadat li utilizzò per sbarazzarsi dei nasseriani, ma gli costò caro: fu proprio un membro estremista dell'organizzazione ad ucciderlo nel 1981.

L'obiettivo del movimento è quello di ristabilire la sharia non solo in Egitto ma anche in tutti i Paesi islamici, per questo la Fratellanza ha preso parte alle primavere arabe del 2011 e, ancora oggi, cerca di sfruttare i vuoti di potere che si sono venuti a creare in Medio Oriente e in Nord Africa. La storia si ripete. Da Maometto ad oggi.

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