La Siria è uno dei pochi Paesi del Vicino Oriente a non aver mai firmato un trattato di pace con Israele. L’ostilità tra i due risale al 1947, data in cui nacque lo Stato ebraico sulle macerie della spartizione della Palestina, ma di fatto si è consolidata nel 1967 sulle alture del Golan con lo scontro frontale tra gli eserciti supportati dalle rispettive aviazioni. Le tracce di quella battaglia si avvertono nella città fantasma di Quneitra, situata all’interno della fascia di sicurezza dell’Onu, e volontariamente abbandonata dal governo di Damasco per testimoniare l’occupazione degli altopiani che dominano la vallata della Galilea, strategicamente importanti (è una ricca regione agricola bagnata dal Lago di Tiberiade), perduti, poi parzialmente riconquistati ed infine ceduti nuovamente nel 1973 nella quarta guerra arabo-israeliana, detta anche “guerra del Kippur”.
Lo scontro militare e l’impotenza delle Nazioni Unite segnò una grave ferita che da quel giorno non si sarebbe più rimarginata. De iure il territorio del Golan appartiene alla Siria, ma de facto è occupato militarmente da Israele che ha proceduto alla sua annessione unilaterale e non riconosciuta dall’Onu che allo stato attuale controlla una striscia demilitarizzata di terra che corre lungo la linea di cessate il fuoco (nota come zona Undof). Nonostante gli insediamenti israeliani gli abitanti della regione sono ancora in maggioranza drusi, di nazionalità siriana e fedeli a Bashar Al Assad perché minacciati dalle milizie locali che hanno giurato fedeltà ad Al Nusra o all’Isis.
Ed è proprio su questi altopiani che traspare l’atteggiamento ambiguo di Israele nei confronti dei jihadisti. Tel Aviv considera le organizzazioni terroristiche che combattono in Siria come nemiche, eppure tutti gli interventi israeliani sono andati ad indebolire il governo di Damasco rinvigorendo l’avanzata dei ribelli armati. Non è un caso che Al Baghdadi, leader dello Stato Islamico non ha mai veramente minacciato direttamente lo Stato Ebraico. L’unico avvertimento è stato lanciato in uno dei tanti video hollywoodiani in cui si vede un miliziano incappucciato e armato di tutto punto che in un ebraico fluente afferma: “Ci stiamo avvicinando a voi dal Sud (Sinai, ndr) e da Nord (Golan, ndr). Il nostro scopo è di cancellare per sempre i confini tracciati (dalle potenze occidentali nel 1916, ndr) con gli accordi di Sykes-Picot”. Eppure queste parole non sembrano spaventare più di tanto le autorità israeliane, anzi.
Lo stesso Wall Street Journal in un’inchiesta pubblicata qualche mese fa ha denunciato la connivenza dei combattenti di Al Nusra con il governo di Tel Aviv: secondo il quotidiano statunitense alcuni jihadisti sarebbero stati curati nell’ospedale militare del Golan (un reportage dell’emittente televisiva francese France 24 ha confermato la notizia specificando che la struttura “si occupava di tutti i siriani feriti indipendentemente dalla loro provenienza”). In realtà non sarebbe nemmeno la prima volta che Israele si rivela complice delle forze anti-siriane. Nel 2013 Tel Aviv aveva bombardato dei centri di ricerca a Damasco e ad Aleppo, a gennaio del 2015 invece i raid colpirono Quneitra uccidendo sei miliziani di Hezbollah e alcuni soldati iraniani tra cui il generale Ali Dadi Allah, mentre recentemente l’aviazione ha effettuato l’attacco dei pressi dell’aeroporto della capitale siriana.
Il ministro della Difesa israeliano Moshè Yaalon ha detto i primi di novembre che Israele avrà “tolleranza zero per i colpi d’artiglieria che provengono dalla Siria, per il traffico di armi e la distribuzione di armi chimiche ai terroristi”. Peccato però che fino ad ora tutte le offensive hanno centrato obiettivi governativi. I jihadisti possono solo ringraziare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.