Contro l'Isis gli Usa hanno sganciato più bombe di quante ne possano acquistare

La Coalizione ha condotto 12.453 attacchi aerei in Iraq e Siria. Più di 8.500 raid si sono verificati in Iraq e quasi 4.000 in Siria. Sganciate 41,697 bombe.

Contro l'Isis gli Usa hanno sganciato più bombe di quante ne possano acquistare

Per la sua guerra contro lo Stato islamico, l'esercito americano continua a saccheggiare tutte le sue riserve di bombe nel mondo. In due anni di raid in Iraq e Siria, gli USA hanno lanciato più ordigni di quanti ne possano acquistare. Il Pentagono, quindi, sta cercando di capire come bilanciare le risorse a disposizione.

Questi i dati ufficiali diramati dal comando Inherent Resolve.

Dall’agosto del 2014, la coalizione ha condotto 12.453 attacchi aerei in Iraq e Siria. Più di 8.500 raid si sono verificati in Iraq e quasi 4.000 in Siria. La forza aerea statunitense ha effettuato 9.495 attacchi, 2.958 i raid alleati. Complessivamente, sono state sganciate 41,697 bombe. Da rilevare che gli Stati Uniti forniscono i sistemi d’arma per i raid anche agli alleati.

I principali depositi degli USA destinati allo stoccaggio delle bombe sono in Europa, Medio Oriente e nel Pacifico. Il Segretario alla Difesa Ash Carter ha annunciato, lo scorso febbraio, che il Pentagono avrebbe chiesto al Congresso un plus di 1,8 miliardi di dollari per acquistare 45.000 nuove bombe. Nonostante le industrie della Difesa abbiano aumentato la produzione delle bomba, non riescono a garantire il passo con la domanda.

Il motivo?

Il Pentagono non ha mai affrontato l’eventualità di una carenza, perché fino a tre anni fa non si paventava tale necessità. Gli Stati Uniti erano convinti di concludere il proprio impegno in Afghanistan, dopo il ritiro delle truppe dall’Iraq. Tre anni dopo la situazione è peggiorata. Migliaia di truppe continuano a combattere in Afghanistan mentre altre sono state rispedite in Iraq.

In una nota ufficiale del Pentagono del 23 febbraio scorso, presentata alla Commissione Forze Armate del Senato si precisa che “la scorta delle munizioni è ormai critica, sono una priorità assoluta e fonte di estrema preoccupazione. Lo United States Pacific Command sostiene continui investimenti per l’immediato approvvigionamento aggiuntivo”.

Il 22 marzo scorso, il generale Joseph Dunford, presidente del Joint Chiefs of Staff in audizione alla Camera, ha affermato "che saranno necessari diversi prima di ripristinare completamente la disponibilità delle nostre scorte di munizioni di precisione".

C’è poi il problema delle bombe a grappolo.

Nel 2008, l'allora segretario alla Difesa Robert Gates ha posto delle restrizioni allo stoccaggio ed impiego delle munizioni a grappolo. La politica di Gates, che entrerà in vigore nel 2019, prevede che "le munizioni a grappolo non possano più essere parte dell’inventario Usa”.

Non la pensano cosi i militari che proprio sulle bombe a grappolo si affidano per arginare una possibile offensiva, ad esempio, nella Corea del Nord.

Celebre, in tal senso, l’audizione datata 23 febbraio, del generale Curtis Scaparrotti, allora comandante delle forze degli Stati Uniti in Corea:

"Mi affido alle munizioni a grappolo per influenzare le operazioni se dovessimo andare in guerra nella penisola. La mia preoccupazione è che non saremo in grado di sostituire quelle munizioni a grappolo con altre adeguate. Dovremmo lanciare svariati sistemi per ottenere lo stesso risultato”.

La versione del Senato della National

Defense Authorization Act 2017 vieta al Dipartimento della Difesa di distruggere le bombe a grappolo immagazzinate fino a quando il Segretario alla Difesa non fornirà ai legislatori la nuova politica del Pentagono sulle armi.

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