Coronavirus, l'ira di Pechino sui Paesi amici: anche l'Italia nel mirino?

Il governo cinese non è contento di come alcuni Paesi amici hanno gestito l'emergenza del coronavirus. Il governo italiano è stato il primo ad attuare drastiche misure bloccando tutti i trasporti aerei da e per la Cina

Coronavirus, l'ira di Pechino sui Paesi amici: anche l'Italia nel mirino?

La Cina non è assolutamente contenta delle “inutili” e drastiche misure attuate da numerosi Paesi di fronte all'emergenza del nuovo coronavirus.

Pechino si aspettava un trattamento diverso, soprattutto dalle nazioni considerate amiche. Inevitabile che il pensiero ricada sull'Italia, mai citata espressamente dai vertici del Partito Comunista cinese, ma probabilmente finita nell'elenco dei cattivi.

Già, perché il governo italiano sarà pure stato il primo del G7 a firmare con il Dragone un Memorandum d'intesa sulla Nuova via della Seta, ma è stato anche il primo a blindare i suoi aeroporti, bloccando tutti i voli da e per la Cina in un momento a dir poco delicato.

Come ha spiegato Repubblica, la Cina ce l'ha soprattutto con gli Stati Uniti, i quali hanno sigillato le frontiere ai viaggiatori provenienti dalla Cina, indipendentemente dal fatto che fossero cinesi o stranieri.

Il problema è che la mossa di Washington non ha tenuto conto delle indicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che nei giorni scorsi si era spesa nel lanciare messaggi ben precisi: è del tutto inutile applicare restrizioni ai trasporti, non servono a niente ai fini del contenimento del nuovo coronavirus di Wuhan.

Se gli Stati Uniti sono “un pessimo esempio per gli altri Paesi”, cosa avrà mai pensato la Cina dell'Italia, che ha sostanzialmente anticipato gli americani in tutto e per tutto? In ogni caso, l'Ambasciata cinese a Roma si è fatta sentire, in modo pacato, augurandosi che il nostro governo possa “tutelare i diritti dei passeggeri italiani e cinesi”.

Le misure dell'Italia e la reazione della Cina

Poco importa se l'Oms aveva espressamente sconsigliato ai vari governi di attuare restrizioni e blocchi ai trasporti con la Cina (compresi quelli commerciali); dopo i primi casi di coronavirus apparsi in Italia, il premier Giuseppe Conte si è trincerato dietro uno spesso muraglione di cemento.

Il ministro italiano degli Esteri, Luigi Di Maio, ha provato a glissare esprimendo nei confronti di Pechino “amicizia e vicinanza” mentre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha scritto all'omologo cinese Xi Jinping una lettera in cui sottolinea come l'Italia partecipi “al dolore delle famiglie di quanti hanno perso la vita” e auguri “ai malati - assistiti dal coraggioso personale medico-sanitario cinese - un pronto e completo ristabilimento".

Queste parole sono bellissime, ma il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, se l'è presa con chi “reagisce oltre misura” e “rende le cose peggiori”. L'Italia, come detto, non è stata menzionata, ma alcuni fatti lasciano pensare che Pechino possa essersi segnato questo smacco. Roma, oltre a essere il primo Paese ad aver imposto il blocco aereo, ha attuato lo stop più lungo: fino al 28 aprile.

E se in mezzo all'emergenza coronavirus aggiungiamo anche le parole usate da Conte al centenario di Confagricoltura

presso la Luiss Business School (“Impensabile avere un Paese come la Cina nel Wto, entrato con lo status di Paese emergente e ancora considerato tale”), si capisce perché il Dragone possa avere storto il naso.

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