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Così gli uomini della Cia controllano Facebook

Lo scoop negli Usa: Facebook usa ex agenti della Cia per verificare i suoi contenuti. E questo segnala problemi di trasparenza

Così gli uomini della Cia controllano Facebook

MintPress News ha piazzato uno scoop importante nel luglio di quest'anno. Dopo aver, con attenzione, contribuito a chiarificare i legami tra l'ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa John Bolton e diversi progetti eversivi e golpisti la testata specializzata in inchieste e intelligence è riuscita a risalire ai legami tra ex operativi della Cia e Meta, il colosso tecnologico di Mark Zuckerberg che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp.

Studiando i rapporti di Meta, spulciando archivi e analizzando la mobilità del personale impiegato in una delle più note aziende del big tech, MintPress ha scoperto che il colosso di Menlo Park ha assunto svariati dipendenti che hanno avuto un passato nella Central Intelligence Agency, con l'obiettivo di controllare le policy di gestione dei contenuti e garantire formalmente scrutini di sicurezza più elevati per un'azienda che fonda il suo business sul mantenimento continuo degli utenti dentro la community. Alan MacLeod, giornalista d'inchiesta di MintPress e autore dell'indagine, in passato aveva analizzato il ruolo svolto da molti funzionari dei Paesi Nato nel monitorare TikTok (utilizzato addirittura per il reclutamento nell'esercito americano), la presenza di ex operativi delle agenzie di spionaggio Usa su Twitter per orientare il dibattito e il ruolo curioso di Jessica Ashooh, responsabile per le policy della piattaforma di discussione "populista" Reddit che risulta impiegata presso il ben più strategico e istituzionale Atlantic Council. Ora rende conto nella sua inchiesta di assunzioni che "riguardano principalmente settori politicamente sensibili come la fiducia, la sicurezza e la moderazione dei contenuti, al punto che alcuni potrebbero ritenere difficile vedere dove finisce lo stato di sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dove inizia Facebook".

In sostanza, si assiste a un sistema di porte girevoli sempre più attivo tra mondo degli apparati securitari e colossi tecnologici, con Meta che controlla le piattaforme social più grandi al mondo al centro. Dalla pandemia di Covid-19 in avanti i social network hanno iniziato a mettere in campo policy più stringenti sui contenuti, hanno inoltre iniziato a indicare come non indipendenti i media controllati da Stati rivali degli Usa come Cina e Russia e hanno voluto evitare le accuse piovute su Facebook ai tempi di Cambridge Analytica. Dopo il cui tracollo Zuckerberg fu accusato di promuovere con la sua piattaforma social rabbia sociale, populismo e addirittura minacce per la democrazia.

L'ultimo di questi scandali è esploso a ottobre, quando Facebook ha pagato dazio in Borsa dopo la sortita dell’ex manager Frances Haugen, che ha dato il là con le sue rivelazioni e la documentazione che ha procurato a un’inchiesta del Wall Street Journal. Haugen ha picchiato duro contro l'ex datore di lavoro affondando con le sue rivelazioni sulle presunte responsabilità di Facebook nella creazione di algoritmi in grado di alimentare la rabbia sociale. Questi algoritmi sarebbero legati alla volontà di Facebook, poi ribrandizzata come Meta, di alimentare il traffico al suo interno, le interazioni e i ricavi pubblicitari. Per Haugen potrebbero aver avuto un ruolo decisivo nel favorire il flusso di disinformazione che ha condotto all'assalto al Campidoglio dei sostenitori di Donald Trump del 6 gennaio 2021.

Facendo due più due, possiamo sottolineare che queste ambiguità diventano ancora più complesse alla luce delle rivelazioni di MacLeod, che fa nomi e cognomi di molti ex esponenti della Cia e di altri apparati federali Usa presenti in Meta. Tra questi Aaron Berman, manager che si definisce a capo del team che "scrive le regole per Facebook" e sul cui profilo LinkedIn appare dettagliatamente l'attività svolta per diciassette anni a Langley, dove arrivò a contribuire a scrivere il brief quotidiano dato dalla Cia al presidente. Un altro esponente della Cia (2006-2010) che ha lavorato nell'antiterrorismo e nella cybersicurezza, Bryan Weisbard, lavora nel settore privacy di Meta. E non solo la Cia è coinvolta, si legge nell'inchiesta: "Neil Potts, un ex ufficiale dell'intelligence del Corpo dei Marines degli Stati Uniti, è vicepresidente per la fiducia e la sicurezza di Facebook. Nel 2020, Sherif Kamal ha lasciato il suo lavoro di program manager al Pentagono per assumere a Meta la carica Tust and Safety program manager. Joey Chan attualmente detiene lo stesso posto di fiducia e sicurezza di Kamal. Fino all'anno scorso, Chan era un ufficiale dell'esercito americano al comando di una compagnia di oltre 100 soldati nella regione dell'Asia del Pacifico".

Si assiste a una progressiva osmosi di competenze che rende sempre più stretto il circolo tra apparati securitari, mondo militare e big tech. Da un lato, è fisiologico: il big tech e Meta tra questo in particolare è una punta di lancia della potenza Usa, vive in combinato disposto con il mondo securitario e militare dalle cui volontà, in ultima istanza, dipendono buona parte della sua proiezione e dei suoi profitti. Dall'altro, tuttavia, non si può sottovalutare il fatto che questa convergenza rende complessa la gestione della democrazia interna a aziende che gestiscono quelli che sono servizi di pubblico dominio e i cui regolamenti di fondo sono spesso affidati a una gestione quasi militarizzata, sicuramente legata alle tecniche dell'intelligence, sicuramente legittime molto lontane dalle norme democratiche per i flussi di contenuti. L'intelligence e gli apparati securitari hanno il privilegio di sapere, in forma più precisa, come va il mondo e come si governano i macrotrend.

Nell'interesse di colossi come Meta vi è trovare il nesso tra competenze e informazioni da valorizzare per poter coesistere a cavallo tra Stato, mercato e società. Ma in quest'ottica la tutela dei consumatori e degli utenti rischia di passare in secondo piano. E si possono creare zone grigie in cui è possibile emergano sospetti, paranoie, complotti. Del cui sviluppo proprio la mania di controllo di Meta può essere causa. La necessità di giustificare sia casi come quello Haugen sia l'infornata di ex agenti nei suoi ranghi testimonia come il valore più grande per una big tech debba essere la trasparenza.

Senza la quale è impossibile fare business oggigiorno.

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