Ci sono immagini che non ci leveremo più dagli occhi. I camion dell’esercito, che di notte attraversano il centro di Bergamo per portare in altre città le salme che si riescono a cremare, è sicuramente una di questa. I detenuti, che ad Hart Island scavano le fosse comuni per deporre bare senza nome, è un’altra. E ancora: i malati nelle terapie intensive, quei corpi immobili rivolti a pancia in giù, quei caschi claustrofobici che travisano i lineamenti dei volti, quel rantolo che a poco a poco si spegne. Da mesi stiamo convivendo con questo orrore. E ora che il peggio sembra alle spalle l’orrore del presente lascia il passo al terrore per il futuro.
Abbiamo vissuto al buio. Blindati nelle nostre case. Abbiamo perso i contatti con l’esterno. Lockdown. Perché in inglese forse fa meno paura. Ma quando ti affacciavi alla finestra, capitava spesso di sentire riecheggiare in lontananza le sirene in corsa di una ambulanza. E intanto il numero delle vittime continuava a crescere. Di centinaia in centinaia. Quei numeri nascondevano nomi e storie ma, come in pugno nello stomaco, davano bene l’idea della strage che stava decimando il Paese. Non che tutto questo sia passato, ma si inizia a parlare di “fase 2”. E di colpo di ritroviamo spinti sull’orlo del baratro. Usciti dalla quarantena non abbiamo idea di cosa ci aspetti. Possiamo immaginarcelo, certo. Ma per tutti è un’incognita. A partire dalle tempistiche. La normalità (a pieno regime) non si avrà prima del 2021.
Ma cosa comporterà tutto questo?
Già un paio di settimane fa, in un cinico ma illuminante articolo dal titolo Covid-19 presents stark choices between life, death and the economy, l’Economist cercava già di far luce su qualcosa che noi, accecati dalla paura e dal dolore, non avevamo spazio per vedere: le conseguenze del lockdown. E poneva domande scomode che nessuno vorrebbe mai farsi. Partendo da una dichiarazione del sindaco di New York, che diceva che la vita umana non ha prezzo (“We’re not going to put a dollar figure on human life”), si chiedeva per esempio fino a che punto questo può essere vero e, soprattutto, se non arriveremo in un momento in cui il costo di questo lockdown globale non finirà per superare i benefici che inizialmente ha portato.
Il punto cardine su cui ruota tutta la “fase 2” è abbastanza semplice: finché non sarà scoperto il vaccino, qualsiasi assembramento di persone rischierebbe di far riesplodere la pandemia. Da qui la difficoltà di tornare a una vita normale e, soprattutto, di poter calendarizzare la “fase 3”. E nel frattempo? L’economia collassa. Con un effetto domino allarmante, si rischia una reazione a catena che andrà ad atterrare i principali comparti che tengono in piedi il mondo. Il Fmi ha già calcolato per l’Italia una perdita del 9%. Ma cosa significa tradotto in termini concreti? Fatturati in rosso, tagli e aumento esponenziale della disoccupazione, drastici crollo dei consumi e quindi nuovi fallimenti. E così via. L’Armageddon, insomma. Può essere fermato? Difficile. Sicuramente si deve fare il possibile (e l’impossibile) per arginarlo. Tenendo presente che le scelte di oggi vincoleranno non solo le nostre vite per i prossimi anni ma probabilmente anche quelle dei nostri figli. Fino a che punto, si chiedeva sempre l’Economist, possiamo ipotecare il nostro e il loro futuro aumentando il debito a dismisura?
Quando la pandemia ha travolto l’Italia e l’Europa, i nostri governanti si sono fatti trovare del tutto impreparati. Ancora oggi paghiamo i loro errori in termini di vite e di crisi economica.
Adesso, però, non possiamo permetterci altri passi falsi: non abbiamo bisogno di prestiti che accumulano solo nuovo debito ma riduzione drastica delle tasse; non austerità ma flessibilità; non misure assistenziali ma investimenti che rilancino le nostre imprese. Solo così questa crisi potrà diventare davvero un punto di svolta per non creare un futuro di macerie.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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