Dall'Afghanistan all'Italia per sfuggire dai talebani: salvi i nostri 116 interpreti

In Italia ci è voluto un anno di scaricabarile fra ministeri ed ostacoli burocratici per garantire la salvezza dei nostri interpreti, almeno sulla carta

Dall'Afghanistan all'Italia per sfuggire dai talebani: salvi i nostri 116 interpreti

Prima li stavamo tradendo e adesso li salveremo, almeno si spera. La storia (forse) a lieto fine degli interpreti afgani che hanno lavorato per le truppe italiane in Afghanistan comincia un anno fa, quando il Giornale solleva il problema della loro protezione. I talebani li minacciano di morte per aver collaborato con “le forze di occupazione”. Altri paesi come gli Stati Uniti o la Nuova Zelanda si portano a casa gli interpreti con le loro famiglie al momento del ritiro. Gran Bretagna e Francia stanno attuando programmi simili. In Italia ci è voluto un anno di scaricabarile fra ministeri ed ostacoli burocratici per garantire la salvezza dei nostri interpreti, almeno sulla carta.

Nel numero in edicola, il settimanale Panorama, rivela che dal primo ottobre il decreto per le missioni internazionali convertito in legge prevede “la protezione” ed “il trasferimento nel territorio nazionale” degli interpreti a rischio “insieme con il coniuge e i figli nonché i parenti entro il primo grado”. La spesa prevista è di 4.739.525 per ogni anno dal 2015 al 2017 e altri 3.949.604 per il 2018. A dicembre le nostre truppe tornano a casa dopo dieci di missione ad Herat. Il ministero della Difesa ha individuato 116 interpreti da proteggere portandoli in Italia assieme ai familiari per un totale di 360 persone. I diretti interessati non lo sanno ancora e si sentivano traditi dopo oltre un anno di richieste, suppliche e lettere inviate ai comandati del nostro contingente. Ad Herat abbiamo realizzato un video, che trovate sul sito, con le loro drammatiche testimonianze.

Panorama pubblica la foto di Mohsen Entezari, un ragazzo di 24 anni, che ha perso un occhio ed un orecchio in un’imboscata a Farah assieme ai soldati italiani. Non ha ricevuto un euro di risarcimento o pensione.

Mohammed, nome di fantasia perché lavora ancora con gli italiani, sottolinea: “Lavoro tutta la settimana senza ferie per 30,71 dollari al giorno, meno di una vostra donna di servizio”.

Gli interpreti e le loro famiglie si sentono in pericolo. “I talebani hanno informatori dappertutto. Se mi trovano mi tagliano la gola” sottolinea Abbas Ahmadi, che ha lavorato con i nostri soldati per tre anni nei posti più caldi da Bala Murghab ad Herat. E mostra le foto delle missioni assieme i soldati italiani infagottato nel giubbotto anti proiettile con lo stemma tricolore.

Almeno 250 interpreti sono stati al fianco degli italiani negli ultimi dieci anni. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, conferma a Panorama, che “ci faremo carico di chi ha lavorato per noi”. Il ritiro è alle porte e bisogna avviare le procedure per il visto e l’accoglienza in Italia, che speriamo non nascondano sorprese o ulteriori ostacoli burocratici.

Altrimenti avrebbe ragione Mohammed: “In tv ho visto che accogliete migliaia di rifugiati illegali. Noi che rischiamo la vita per il vostro esercito non abbiamo ancora più diritto di ottenere un visto di protezione per l’Italia?”.

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