Draghi fa asse con Biden su Libia e stop ai dazi. E punta a guidare la Nato.

Il primo G7 di Joe Biden e Mario Draghi, quasi certamente l'ultimo di Angela Merkel. Per certi versi a chiudere un cerchio, ridisegnando gli equilibri non solo all'interno dell'Europa ma anche tra il Vecchio continente e gli Stati Uniti.

Draghi fa asse con Biden su Libia e stop ai dazi. E punta a guidare la Nato.

Il primo G7 di Joe Biden e Mario Draghi, quasi certamente l'ultimo di Angela Merkel. Per certi versi a chiudere un cerchio, ridisegnando gli equilibri non solo all'interno dell'Europa ma anche tra il Vecchio continente e gli Stati Uniti. È questo uno dei temi che accompagnano il summit che si è aperto ieri a Carbis Bay, in Gran Bretagna. Un vertice che ha in cima all'agenda le cosiddette tre «C» - Covid, Cina e clima - su cui sta puntando molto il nuovo corso dell'amministrazione americana. Temi, non a caso, su cui spinge l'Europa, a partire dal governo italiano.
Il premier, non è certo una novità, ha infatti un rapporto molto stretto con il nuovo inquilino della Casa Bianca, rodato negli anni delle crisi finanziarie, quando Biden era il vice di Barack Obama e Draghi guidava la Banca centrale europea. Un'intesa confermata da questi mesi di intensi rapporti diplomatici tra Roma e Washington. E che sarà di fatto formalizzata oggi, nella seconda giornata del G7 che si tiene in Cornovaglia, con il primo bilaterale tra Biden e Draghi. Un incontro cui molto probabilmente farà seguito - a settembre - la prima visita del premier italiano alla Casa Bianca. A conferma del fatto che Draghi sta riportando a tutti gli effetti l'Italia nella sua naturale collocazione Atlantica, dopo gli anni in cui a Palazzo Chigi ci si muoveva strizzando l'occhio in maniera ondivaga alla Cina o alla Russia. Anzi, è proprio in chiave anti-Pechino che si stanno muovendo le diplomazie occidentali in questi mesi, tanto che le sessioni finali del G7 saranno allargate a Sud Corea e India (oltre all'Australia) nella prospettiva di una proiezione orientale mirata a rilanciare il multilateralismo e a contenere la Cina.
Ma oggi Biden e Draghi dovrebbero parlare anche della stabilizzazione della Libia, dell'allentamento dei dazi imposti dall'amministrazione Trump e dell'ipotesi di una guida italiana della Nato a partire dal 2022. E proprio su questo fronte un importante alleato dell'Italia potrebbe essere la Francia, visto che Parigi non sembra caldeggiare il candidato inglese Theresa May, seconda donna dopo Margaret Thatcher a sedere al numero 10 di Downing Street. Ieri, prima dell'inizio dei lavori, Emmanuel Macron ha avuto un colloquio con Draghi e probabilmente il tema non è stato toccato. Ma il presidente francese potrebbe diventare un alleato decisivo nella partita della Nato, soprattutto considerando che in ambienti diplomatici italiani il sostegno di Washington viene sostanzialmente dato per scontato. Sul punto si spese anni fa Obama e Biden è sempre rimasto in grande sintonia con il suo presidente. E proprio lunedì, a Bruxelles, è in programma il primo summit della Nato con i capi di Stato e di governo dei trenta Paesi membri che disegneranno l'Alleanza atlantica del futuro dopo gli strappi di Donald Trump. Anche in questo caso, per Biden e Draghi sarà una prima.
Ieri, intanto, il presidente del Consiglio ha guidato i lavori della prima sessione del G7 che si tiene in Gran Bretagna, quella dedicata alla ripresa economica. Con il primo ministro inglese Boris Johnson (i due hanno avuto un bilaterale) che lo ha introdotto così: «Mario, con una frase hai salvato l'euro nel bel mezzo di una crisi, ora dacci la tua prospettiva». E la prospettiva messa sul tavolo dall'ex numero uno della Bce è quella di continuare a sostenere l'economia. Secondo il premier, infatti, occorre «rafforzare la crescita e proteggere i lavoratori durante le transizioni che sta attraversando l'economia». Anche perché «la crescita è oggi il modo migliore per assicurare la sostenibilità dei conti pubblici».

Questo, aggiunge Draghi, non vuol dire spendere in modo non oculato. È comunque necessario mantenere «un quadro di politica di bilancio prudente» nel lungo periodo, per «rassicurare gli investitori ed evitare politiche restrittive da parte delle banche centrali».

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