Prima di partire per l’Italia, il presidente islamista turco Tayyip Erdogan ha voluto dire la sua sull’attacco di Macerata, definendolo “un attacco razzista non diverso da quelli nei confronti dell’Islam” e tirando in ballo il Myanmar e l’islamofobia. E’ evidente che Erdogan sta cercando di ritagliarsi un ruolo di primo piano sullo scacchiere europeo nel tentativo di far entrare la Turchia nell’UE. Peccato però che il leader islamista turco non sia certamente il più adatto a fare la morale visto l’operato del suo esecutivo, a partire da Afrin, dove è in atto uno dei più feroci massacri contro i curdi nel pressoché totale silenzio di Unione Europea, Stati Uniti e Russia.
Nella giornata di ieri è emerso un video di propaganda agghiacciante nel quale il corpo di Barin Kobani, membro delle Unità di protezione popolare femminile, veniva mutilato (seni esportati, addome devastato) e poi esposto a trofeo dalle truppe fedeli ad Ankara. Erdogan ha riaperto un campo di battaglia in una regione che era stata liberata dall’Isis proprio grazie alle milizie curde e sono oggi centinaia i feriti e i caduti sotto i colpi di Ankara. E’ curioso come Erdogan affermi di “non parlare la lingua dei terroristi” visto che ha rifornito i jihadisti operanti in Siria (Isis incluso) per tutto il periodo pre-golpe, con tanto di carichi inviati oltre confine e capi-milizia dell’Isis curati negli ospedali in territorio turco. Lo stesso Erdogan che da sempre appoggia Hamas e che lo scorso dicembre ha definito Israele “Stato terrorista assassino di bambini”. Insomma, il leader turco ha un’idea tutta sua di cosa significhi il termine “terrorista”. E’ inoltre fondamentale ricordare come la Turchia sia oggi una delle più grandi prigioni per giornalisti del mondo, come dimostrano i recenti casi di Mehmet Altan e Sahin Alpay, arrestati nel settembre 2016 e ancora in stato di detenzione nonostante che la Corte Costituzionale turca abbia definito incostituzionali i motivi alla base del loro arresto, ordinandone la scarcerazione. Altro caso noto è quello di Can Dundar, direttore del quotidiano Cumhuriyet e autore del libro “Arrestati”, perseguitato a partire dal 2013 dopo i fatti di Gezi Park e successivamente arrestato nel 2015 per aver diffuso un video sulla vendita di armi alle milizie islamiste in Siria da parte del governo, con l’accusa di spionaggio e divulgazione di segreti di stato.
Nel 2016 veniva liberato e dopo aver subito un tentativo di omicidio era fuggito in esilio in Germania. Lo scorso 29 settembre a Dundar è stato conferito il premio Politovskaja e per l’occasione ha dichiarato: “La Turchia è stata finora l’unico paese laico e democratico di religione musulmana, ma il presidente Erdogan vuole trasformare il Paese in un regime islamista radicale ed ha l’ambizione di diventare un riferimento per tutto il mondo islamico”. E in effetti Erdogan non ha perso tempo nello strumentalizzare persino un caso come quello di Macerata trasformandolo in salsa islamica. Nel frattempo non si può non chiedersi che senso abbia conferire il premio Politovskaja a Dundar se poi il Governo italiano e papa Bergoglio ricevono Erdogan con tutti gli onori di casa. Speriamo intanto che le guardie del corpo di Erdogan questa volta si comportino civilmente e non aggrediscano manifestanti e critici come lo scorso maggio a Washington. Del resto si sa, a Erdogan gli oppositori non piacciono, così come non ama i giornalisti, al punto da minacciarli anche in suolo francese, come lo scorso mese in durante una conferenza stampa quando aveva verbalmente aggredito il giornalista francese Laurent Richard dopo una domanda non gradita: "Quando fa una domanda, dovrebbe fare attenzione.
E non parlare con le parole di un altro…Voglio che lei sappia che non ha di fronte qualcuno che la manderà giù tanto facilmente". Sarebbe interessante sapere cosa pensano di tutto ciò il governo italiano e papa Bergoglio, visto che si apprestano ad ospitarlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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