Australia, il governo è accusato di separare famiglie di migranti

Il governo australiano deve fronteggiare le critiche rivoltegli dall’Onu, relative alla separazione delle famiglie di immigrati. Secondo l’Unhcr, Canberra starebbe attuando, in ambito migratorio, le stesse politiche “disumane” varate da Trump

Australia, il governo è accusato di separare famiglie di migranti

Governo australiano accusato dall’Onu di separare le famiglie di migranti. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha dichiarato che i provvedimenti di Canberra in ambito migratorio avrebbero ormai raggiunto la stessa “portata disumana” di quelli varati da Donald Trump. Secondo l’agenzia, la pratica di disunire i nuclei familiari di clandestini si consumerebbe all’interno dei centri di detenzione allestiti a Nauru e sull’isola di Manus, Papua Nuova Guinea.

L’Australia, nel 2013, ha avviato un programma di contrasto all’immigrazione illegale denominato “No Way”, basato su un rigoroso pattugliamento, da parte della Marina Militare, delle acque territoriali e sulla realizzazione di strutture ricettive su isole distanti dalle coste nazionali. I centri di detenzione per irregolari sarebbero stati edificati su atolli concessi alla Marina australiana dai Governi di Nauru e della Papua Nuova Guinea. L’Unhcr sostiene che proprio all’interno di queste strutture avrebbero luogo “disumane” separazioni familiari. Una volta sbarcati a Nauru o a Manus, i migranti, provenienti dal Bangladesh, dal Pakistan e dall’Indonesia, verrebbero immediatamente allontanati dai propri cari. Le autorità del Paese del Commonwealth, dopo avere ultimato tali separazioni, costringerebbero gli arrestati ad attendere per settimane notizie sulla sorte dei rispettivi parenti. Molto spesso, i militari di Canberra non comunicherebbero alcuna informazione alle persone stipate nelle celle.

Secondo l’Alto Commissariato, inoltre, la detenzione dei clandestini sulle isole del Pacifico durerebbe “oltre tutti i limiti temporali umanamente accettabili”. L’esame delle domande di asilo sarebbe “eccessivamente lungo” e soltanto a pochi fortunati verrebbe riconosciuto il diritto di risiedere in Australia. Il portavoce dell’Unhcr, Andrej Mahecic, dopo avere elencato le disfunzioni del programma “No Way”, ha esortato il Paese del Commonwealth ad abbandonare la “linea del rigore” in ambito migratorio: “Disunendo i nuclei familiari, il Governo australiano rischia di provocare danni irreparabili alla salute psico-fisica dei migranti arrestati. Dopo avere condannato i recenti provvedimenti adottati dal Presidente Trump nei confronti degli immigrati provenienti dal Messico, l’Unhcr non può esimersi dal denunciare politiche analoghe perseguite da altri Stati.” Mahecic ha quindi evidenziato l’inefficacia della “politica della deterrenza” attuata da Canberra: “Il governo australiano mette in guardia i migranti circa il fatto che, se questi saranno intercettati dalla Marina militare, verranno subito imprigionati in inospitali isole del Pacifico. Tale messaggio non può essere una efficace deterrenza agli ingressi irregolari. Fino a che Canberra non favorirà lo sviluppo economico dei Paesi di origine dei profughi, migliaia di disperati cercheranno in ogni modo di raggiungere il suolo australiano. Le minacce e le pratiche disumane sono inutili a fronte di centinaia di milioni di poveri presenti in tutta l’Asia sudorientale”.

Le parole del portavoce dell’Unhcr hanno suscitato l’indignazione del premier di Canberra, il conservatore Malcolm Turnbull. Egli, infatti, ha ribadito l’impegno del proprio Esecutivo a difesa delle frontiere marittime del Paese: “Il nostro è uno Stato sovrano ed esso è libero di disciplinare come meglio crede l’immigrazione. Ogni tentativo da parte di organizzazioni esterne di indurre il Parlamento nazionale a modificare le proprie decisioni è un grave attentato alla nostra libertà.” Nonostante l’iniziale irritazione, il Primo Ministro ha poi dichiarato di considerare “preziosa” la collaborazione offerta dall’Alto Commissariato sul fronte dell’assistenza ai profughi. Parole dure nei confronti dell’agenzia Onu sono state pronunciate anche dall’ex premier Tony Abbot, esponente dello stesso partito di Turnbull nonché ideatore dell’operazione “No Way”: “Il mio Governo dispose un più rigido pattugliamento delle nostre acque territoriali al fine di infliggere un duro colpo agli affari dei trafficanti di esseri umani.

Grazie alla disponibilità di Nauru e della Papua Nuova Guinea, abbiamo potuto allestire centri di identificazione al di fuori del territorio nazionale, impedendo così a migliaia di individui sconosciuti di riversarsi sulle nostre coste. L’Unhcr non conosce affatto la realtà australiana. Senza politiche del rigore, il nostro Paese si sarebbe trovato nelle stesse condizioni dell’Unione europea".

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