Abbiamo scelto di non lottare. E così gli islamisti ci sottomettono

Da 20 anni le sigle del terrore attaccano indisturbate l'Occidente. Perché non reagiamo? Forse perché non ci sentiamo in guerra? Ma il numero dei nostri morti è quello di un vero e proprio conflitto

Abbiamo scelto di non lottare. E così gli islamisti ci sottomettono

Guerra. I termini usati sin dall'inizio della pandemia sono quelli di un conflitto. Sebbene ci siamo trovati a dover combattere un nemico invisibile a occhio nudo, ma comunque letale per le fasce più deboli, siamo finiti ingabbiati dalla paura come in guerra. Le città in lockdown con le strade vuote, le serrande dei negozi abbassate e le lunghe code davanti ai supermercati non si proteggono più dai bombardamenti aerei. Le persone che girano con le mascherine non fuggono dall'invasione nemica, ma sembrano piuttosto proteggersi da un indeterminato attacco chimico. E davanti ai nosocomi spuntano le tende degli ospedali da campo con i militari e gli alpini che danno una mano a medici e infermieri non a curare i feriti ma i malati che cercano invano un repsiratore. Ce l'hanno dipinta così la guerra. La guerra contro il nuovo coronavirus. E, mentre siamo ancora impegnati su quel fronte, continua a infiammare un'altra guerra, quella del fondamentalismo islamico contro la nostra società. Ma sembra che non ce ne siamo accorti.

L'orrore nelle nostre città

Abbiamo chiuso gli occhi. Come sempre. E, mentre veniamo fiaccati da un'emergenza sanitaria che, oltre a ingolfare gli ospedali sta facendo a pezzi le fondamenta della nostra economia, continuiamo ad essere colpiti. Nizza, prima. Con il tunisino Brahim Aouissaoui, un clandestino sbarcato a fine settembre a Lampedusa, che entrato nella cattedrale brandendo un coltellaccio ha decapitato una donna, ne ha sgozzata un'altra e ne ha ammazzata una terza. Una carneficina. Ieri sera è toccato a Vienna. Una mattanza a pochi passi dalla sinagoga. Quattro morti. Un commando in azione. Ripiombiamo al 2015: lo stesso modus operandi di quando a Parigi sono stati attaccati, in due operazioni differenti, la redazione di Charlie Hebdo il 7 gennaio e il Teatro Bataclan il 13 novembre. Negli ultimi cinque anni il terrorismo islamico ci ha colto impreparati in continuazione. Il 2016 è stato sicuramente l'anno più devastante: il 22 marzo gli attacchi coordinati all'aeroporto "Zaventem" e alla stazione della metropolitana di Maelbeek a Bruxelles; il 14 luglio gli 87 innocenti falciati via dal tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhlel lungo la Promenade des Anglais a Nizza; il 26 luglio padre Jacques Hamel sgozzato sull'altare della chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray da Adel Kermiche e Abdel Malik Petitjean; il 19 dicembre le dodici persone schiacciate dal furgoncino di Anis Amri tra le bancarelle del mercatino di Natale di Berlino. E anche per tutto il 2017 le sigle del terrore islamista hanno continuato a colpirci: a Londra colpita in due occasione, il 22 marzo e il 3 giugno, in due attacchi che hanno visto morire 17 innocenti; a Manchester il 22 maggio quando Salman Ramadan Abedi si è fatto saltare in aria al termine del concerto di Ariana Grande; a Barcellona il 17 agosto quando Younes Abouyaaqoub fiondò un camioncino contro i passanti che camminavano lungo la Rambla.

Strage al Teatro Bataclan

Una scia di sangue lunga 20 anni

Una scia di sangue infinita che porta fino a oggi, ma che non ha avuto inizio nel 2016. Nell'immaginario comune la guerra con l'islam radicale si apre l'11 settembre 2001. L'attacco alle Torri Gemelle, l'attacco alla superpotenza statunitense. 2.977 morti. Il più violento di tutti, sebbene poi ce ne siano stati altri altrettanto drammatici. Le esplosioni del 2004 a Madrid e del 2005 a Londra. 192 morti nel primo attacco, 56 nel secondo. Una lista infinita di caduti. L'Occidente in lutto costante. Anche quando non è in Occidente che i jihadisti colpiscono, le vittime sono comunque gli occidentali. Come i turisti massacrati il primo luglio del 2016 nel ristorante Holey Artisan Bakery di Dacca. Allora i terroristi liberarono chi conosceva le sure del Corano e seviziarono e ammazzarono tutti gli altri. E un anno prima quando Seifeddine Rezgui Yacoubi, travestito da turista, entrò nell'albergo RIU Imperial Marhaba di Susa (Tunisia) e fece fuoco con un kalashnikov ai bagnanti rilassati sotto l'ombrellone. Altri 39 morti. Cambiano le sigle del terrore, ma il nemico resta sempre lo stesso: l'islam radicale.

Torri gemelle colpite

La resa dell'Occidente

A metterli tutti in fila, gli attentati subiti negli ultimi vent'anni fanno davvero paura. Eppure l'Occidente si è sempre dimostrato debole nei confronti del proprio nemico. Forse non si è mai sentito davvero in guerra. Oppure, non riuscendo a identificarlo con precisione, non ha avuto il coraggio di adottare misure che avrebbero in qualche modo colpito anche chi con il jihad non ha nulla a che fare.

Perché, per esempio, non è mai stato posto un freno ai barconi su cui i terroristi si infiltrano accanto ai disperati che partono alla volta del Vecchio Continente? Perché non sono stati aumentati i controlli nelle moschee e sugli imam e non sono stati chiusi luoghi di culto abusivi o centri culturali dove si insegna a odiare l'Occidente? Perché non sono stati smantellati i quartieri "ghetto" dove i musulmani proteggono e nascondono le cellule del terrore? Continuiamo a esporci e a dimostrarci deboli in una guerra che stiamo perdendo. Giorno dopo giorno.

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