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Israele bombarda Gaza: ucciso il capo della Jihad "Noi colpiremo Tel Aviv"

Dopo giorni di tensione scatta il blitz. Centrato un edificio di dieci piani: eliminati 15 leader

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Gerusalemme. Non è cominciata ieri l'ennesima guerra fra Gaza e Israele, che ha eliminato con un attacco a sorpresa il capo militare della Jihad islamica Taifir el Jabari e ha colpito un'altra quindicina di leader: da lunedì lo scontro era estremo, anche se la minaccia alla vita dei cittadini di Israele è ormai un'abitudine. Oggi era già il quarto giorno da quando i cittadini di tutto il Sud di Israele erano obbligati a stare a casa e pronti a correre nei rifugi, per ordine di governo ed esercito. Le strade di comunicazione sono state bloccate, i mezzi di comunicazioni fermi, i luoghi di lavoro chiusi, i bimbi in casa coi genitori, i malati portati all'ospedale solo per urgenza. Le minacce della Jihad erano molto realistiche; l'esercito era stato ammassato sul confine della Striscia, Israele ribolliva anche di incredulità e rabbia mentre le consultazioni fra governo ed esercito non sbloccavano la vita della gente.


L'inizio era stato l'arresto, lunedì, di un terrorista della Jihad residente a Jenin, la città che dai tempi dell'Intifada forgia i peggiori assassini di massa. L'arresto di Basem Saadi ha innescato furiose minacce da parte della Jihad di Gaza: adesso che l'esercito si avvia alle prime informazioni sull'attacco di ieri, le minacce sono state un'ottima cortina fumogena per la preparazione di un attacco con missilistico su tutta Israele nelle mani di el Jabari, diretto non solo al Sud ma anche a tutta la zona centrale, della costa e dell'interno. Le minacce di bombardare la popolazione israeliana, hanno all'inizio consegnato un'impossibile vittoria simbolica nelle mani dei terroristi, il disorientamento senza precedenti si è accompagnato alla sensazione che fosse impossibile difendersi. La domanda su cosa fare ha spaccato l'opinione pubblica: intervenire con un'azione armata o accertare la paralisi del Paese?


L'attesa ha pagato: quando ieri alle 16 gli F15 hanno attaccato per 170 secondi direttamente la finestra di Jabari e altri capi della Jihad, hanno colto l'organizzazione di sorpresa. L'operazione «breaking dawn» (l'arrivo di un nuovo giorno) ha colpito a Gaza un palazzo di dieci piani, ma anche Khan Yunes a Sud e Beit Kahya a Nord. Il bilancio - secondo fonti palestinesi - parla di 10 morti, compresa una bambina di 5 anni, e 50 feriti. Israele sostiene di aver eliminato 15 capi della Jihad. A sera altri raid sulla Striscia e cento razzi sparati sul Sud di Israele (intercettati dall'Iron Dome).


Solo giovedì scorso la strategia di attacco della Jihad di Gaza era stata esaltata dall'incontro a Teheran del suo segretario generale Ziad al Nakhaleh con il presidente iraniano Ebrahim Raisi, che ha condiviso a pieno le intenzioni omicide nei confronti di Israele. Nakhaleh, molto significativamente ha detto: «Adesso i sionisti sono circondati da ogni parte grazie al potere della Repubblica Islamica dell'Iran, grazie alle direttive del supremo leader Khamenei». La Jihad islamica non esisterebbe, come gli Hezbollah, senza l'Iran; e oggi la sua presenza internazionale gode del sostegno russo e della sponda turca. Hamas per ora non viene allo scoperto se non con un sostegno di facciata, ma senza impegno bellico: i suoi capi stanno soppesando se paga di più aggredire Israele coi missili e ricevere la risposta di Tzahal, o abbandonare la Jihad.
Israele ha aperto i rifugi pubblici, ha spostato lo scudo antimissile fino a coprire 80 km di territorio e mobilitato 25mila riservisti. Tutto il Medioriente aspetta sviluppi che possono andare in ogni direzione. «Tel Aviv e tutte le altre città israeliane sono nel nostro mirino - attacca Nakhaleh, citato dalla radio pubblica israeliana - In questa campagna non ci poniamo alcuna linea rossa».

Il premier Yair Lapid, che non ha alle spalle una grande esperienza militare, affronta l'esame che Israele deve superare ogni giorno, quello della solitudine e della forza d'animo.

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