Non si parla di evacuazione, ma i nostri connazionali in Libia stanno iniziando a lasciare il Paese, in una delle "preannunciate operazioni di alleggerimento". Lo ha annunciato la Farnesina, che dall'inizio di febbraio ha avvisato tutti che per il momento rimanere nel Paese non è un'opzione e che almeno temporaneamente è meglio allontanarsene. E oggi ha anche dichiarato la sospensione delle attività diplomatiche dell'ambasciata.
L'Italia sta considerando l'ipotesi di mettersi alla testa di una coalizione internazione pronta ad agire, consapevole di un ruolo "riconosciuto a livello internazionale" per la conoscenza della regione. E se gli italiani iniziano ad andarsene, - una sessantina quelli partiti oggi - lo ha fatto anche il custode del cimitero di Hamangi, Bruno Dalmasso, che finora non avea mai lasciato il Paese.
"Oggi ho paura. Lascio anche io", ha raccontato alla Stampa, parlando di un gran numero di stranieri, di bandiere nere del sedicente Stato islamico che "quando si tratta di accoltellare o sparare sono in prima fila", nonostante vivano nascosti tra la popolazione civile.
A vigilare sul rimpatrio degli italiani anche un Predator dell'Aeronautica, che sorvola lo spazio aereo dove avviene l'imbarco. Ad associrare la sicurezza in mare ci sarà invece una nave della Marina, che affiancherà il mercantile con gli italiani a bordo.
A non voler partire, non ancora, è monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, il vicario apostolico di Tripoli, che sempre alla Stampa ha detto di dover
rimanere, perché "c'è ancora un gruppo di cristiani che ha bisogno di essere assistito". Un gruppo di circa trecento filippini, sparuto se paragonato ai 50mila fedeli che si stima abitassero nel Paese ai tempi di Gheddafi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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