Le relazioni diplomatiche tra Kazakistan e Cina si sono indebolite ulteriormente.
Questa volta il casus belli è rappresentato dalla storia di Saïragoul Saouïtbaï, donna 41enne di nazionalità cinese, ma di origine kazaka. Saïragoul è stata arrestata lo scorso maggio dopo aver attraversato illegalmente il confine tra i due stati per raggiungere la propria famiglia in Kazakistan.
Una volta catturata dalla polizia kazaka, vicino al confine con la regione cinese dello Xinjiang, la donna ha subito dichiarato di essere stata rinchiusa in un “campo di rieducazione” in Cina, dove sarebbero detenute migliaia di persone di origine kazaka (circa 2500, secondo la testimonianza di Saïragoul). L’esistenza di questi “campi di rieducazione” cinesi è stata più volte negata negli anni dalle autorità della terra del dragone.
Dopo la rivelazione della toccante storia di Saïragoul, Pechino ha chiesto l’immediata estradizione della donna, ma il tribunale della città kazaka di Jarkent ha rifiutato la domanda avanzata dalla Cina. La donna coinvolta nella faccenda è stata comunque sia condannata a sei mesi di carcere, sentenza che le ha consentito in questo modo di rimanere in Kazakistan con la propria famiglia.
Oggi, invece, il tribunale kazako ha deciso di rilasciare Saïragoul Saouïtbaï, assicurandole di poter rimanere in territorio kazako per un lasso di tempo ad oggi non definito. Dai racconti della donna, il motivo che l’ha spinta a entrare in Kazakistan con documenti falsi, sarebbe dovuto alla confisca del suo passaporto da parte delle autorità cinesi.
L’organizzazione non governativa Human Rights Watch ha invitato la giustizia kazaka a “resistere alla pressione cinese” per la deportazione di Saïragoul Saouïtbaï, dichiarandola una rifugiata politica scappata dalla Cina.
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