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L'altro razzismo che ha forgiato l'America. La storia dimenticata dai liberal

L'immaginario della segregazione ha riguardato sempre gli Stati del Sud. Ma per decenni anche il Nord (democratico e liberal) ha discriminato gli afroamericani

L'altro razzismo che ha forgiato l'America. La storia dimenticata dai liberal

Tra Boston e Salem, in Massachusetts, c’era un breve tratto ferroviario, la Eastern Rail Road. La particolarità di quel tratto era che i passeggeri potevano “scegliere" due tipologie di vagone: uno per bianchi e uno per persone di colore. Nei fatti la tipica rappresentazione della segregazione. Ai più attenti sarà saltato all’occhio che non ci troviamo nel profondo sud razzista raccontato da libri e film, ma più a Nord, a diversi chilometri dal centro liberal per eccellenza: New York. La vera domanda non è tanto “dove siamo”, ma “quando”. Sì perché quel tratto segregato venne inaugurato tra il 1836 e 1838, ben 20 anni prima della Guerra civile americana che diede origine alla lost cause della Confederazione e alla segregazione negli ex stati confederati.

Il razzismo a Nord

La storia della Eastern Rail Road è uno dei classici esempi di pagine sbiadite della storia che nessuno vuole ricordare. Negli Stati Uniti il razzismo è un tema dibattuto, studiato e soprattutto usato come arma politica. Il punto è che tutta questa rappresentazione ha sempre dimenticato il Nord. Regioni che in molti non direbbero apertamente razziste. Ma che in realtà vivevano il confronto con gli afroamericani in maniera forse più subdola del Sud.

Il 3 febbraio del 1964 mezzo milione di studenti afroamericani partecipò a un grossa manifestazione per chiedere la fine della segregazione scolastica. Guardando le date verrebbe da pensare che la marcia si sia tenuta in uno dei grandi centri del Sud, Atlanta in Georgia o Montgomery in Alabama. Ma in realtà si tenne a New York. Stando ai numeri quell’evento fu la più grande marcia per i diritti civili del decennio, molto più grande di quella di Selma nel ’65 o quella di Washington tenuta qualche mese dopo. Quella manifestazione simboleggiava che non c’era un solo posto di tutta l’Unione in cui gli afroamericani potessero dirsi integrati.

La grande migrazione

Per decenni, fino alla Guerra di secessione, il razzismo al Nord era qualcosa di invisibile, relegato, dicevano molti, a comportamenti personali ma non aveva una dimensione “sistemica”. Il vaso di Pandora venne aperto con la fine della Confederazione e la nascita di una serie di leggi, passate alla storia come leggi “Jim Crow” - dal nome della caricatura degli afroamericani in molti racconti del Sud - tra il 1877 e il 1964.

In quel contesto la segregazione al Sud, i linciaggi e le discriminazioni costrinsero oltre 6 milioni di afroamericani a “scappare” verso Nord e verso Ovest, in quello che passò alla storia come Grande Migrazione, in particolare tra il 1916-1970. Il punto è che quella fuga non cambiò di molto le condizioni. In questo senso è emblematica la storia di Rosa Parks. Ricordata soprattutto come la giovane sarta che non volle cedere il posto a un bianco su un autobus di Montgomery, pochi sanno cosa le sia successo negli anni successivi. Dopo aver perso il lavoro per il boicottaggio lasciò l’Alabama per trasferirsi a Detroit, in Michigan, in cerca di condizioni di vita migliori. Anni dopo, avrebbe apostrofato il Midwest come la "terra promessa del Nord che non lo era”, intrisa, diceva, degli stessi problemi del Sud come segregazione abitativa e scolastica, discriminazione sul lavoro e brutalità della polizia.

razzismo rosa parks
L'arresto di Rosa Parks nel dicembre del 1955

Gli effetti perversi del New Deal

Gli Stati del Nord reagirono in modo molto brusco all’onda di afroamericani provenienti da Sud. E le stesse leggi federali peggiorarono la situazione. Fu il caso del New Deal, il grande piano della rinascita disegnato dall’amministrazione di Franklin Delano Roosevelt per fare uscire il Paese dalla Grande Depressione.

Uno dei programmi riguardava la creazione di alloggi di edilizia popolare anche grazie all’attività della Federal Housing Administration (Fha), un ente che aiutava le persone a basso reddito a ottenere prestiti a tassi agevolati per acquistare casa. Uno dei manuali della Fha specificava che a “gruppi razziali incompatibili tra loro non doveva essere permesso vivere insieme”, un meccanismo che come primo effetto impedì agli afroamericani di accedere alle case.

In alcuni sobborghi, come Levittown vicino a New York, le case vennero vendute con una clausola negli atti di acquisto che impediva la vendita ai neri. Con questo sistema in moltissime aree urbane delle città del Nord tra gli anni ’30 e’40 molti bianchi si trasferirono verso i nuovi sobborghi lasciando i neri nei centri sovraffollati. In piena Grande Depressione il governo di Washington, creò delle mappe specifiche in cui ogni area metropolitana degli Usa abitata da minoranze era colorata di rosso. Queste “zone rosse” vennero poi ritenute troppo rischiose per gli investimenti bancari e di conseguenza andarono in contro a un maggiore degrado.

Fu in quel momento, in quelle regioni dem e sotto quell’amministrazione democratica che il divario tra bianchi e neri aumentò. Il movimento per i diritti civili guidato tra gli altri da Martin Luther King e John Lewis degli anni ’60 portò all’abrogazione delle Jim Crow. Ma di fatto le tensioni non si risolsero.

mappa detroit
Mappa di Detroit degli anni '30.

La battaglia per la scuola

Il caso emblematico fu quello delle scuole. In moltissime città e contee del nord gli studenti afroamericani erano costretti a frequentare solo scuole per neri, lontane e distaccate da quelle dei bianchi. Ciò voleva dire avere accesso a strutture più fatiscenti e programmi più scadenti. E questo perché in molti Stati americani i fondi per la scuola derivano dalle tasse tarate sul valore degli immobili. Giocoforza se i quartieri afroamericani avevano valori degli immobili talmente bassi che nemmeno le banche investivano, i fondi per la scuola erano inesistenti.

Il governo federale provò a studiare un sistema per migliorare l’integrazione dei più piccoli attraverso la pratica del busing, cioè portare i bambini di colore nelle scuole dei quartieri bianchi. Parallelamente diversi tribunali iniziarono a stabilire che i sistemi scolastici locali avevano volontariamente segregato le scuole e che i distretti scolastici delle città dovevano rimediare. Questo a sua volta scatenò contro manifestazioni in cui i bianchi assaltavano gli autobus, come a Boston nel 1974, o rivolte fiscali, come avvenne in California. Nel Golden State nel 1978 passò una legge locale che limitò di molto le tasse sulle case. Gran parte dei cittadini bianchi, ha spiegato il sociologo Manuel Pastor a Le Monde, aveva accettato le tasse per finanziare la scuola del quartiere, ma si oppose e reagì quando venne sancito che i fondi andassero anche nei quartieri abitati da afroamericani e latinos.

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Gruppo di studenti afroamericani negli anni '70

Ancora oggi il Nord dem discrimina di più

Gli effetti delle politiche abitative e della creazione di ghetti nelle città del Nord più che in quelle del Sud ebbe effetti bizzarri. Strade e arterie vennero costruite intorno a quelle zone con lo scopo di allontanare le persone da determinati sobborghi. Tra gli aneddoti più assurdi c’è la storia di Robert Moses, storico urbanista che ridisegnò il volto di New York tra il 1930 e 1970. In particolare Moses avrebbe invitato gli ingegneri che lavoravano ai ponti lungo la strada panoramica che portava al sobborgo rinomato di Jones Beach, a farli più bassi in modo che gli autobus non ci potessero passare sotto. Autobus che in una città come New York erano usati quasi esclusivamente da afroamericani.

Per anni la segregazione è stata un fenomeno rappresentato a più riprese come tipico del Sud. Pensiamo solo a come l’immaginario americano, ma in fondo anche europeo, è stato forgiato da film come Mississippi Burnig, La calda notte dell'ispettore Tibbs o Il Momento di Uccidere. Eppure anche più a Nord la tensione era palpabile. Non si vedeva nei cartelli per “bianchi” e “neri”, ma nel quotidiano.

L’esplosione del movimento di Black lives matter nell’estate del 2020 ha riacceso i riflettori sulla questione razziale. Ma alla fine ha preso di mira più la figura di Donald Trump, la leadership repubblicana e la polizia che i fattori stessi di quella segregazione. Indubbiamente i passi avanti degli ultimi anni sono stati innumerevoli, lo stesso Barak Obama, quasi a voler difendere i suoi otto anni di presidenza, ha insistito nel dire che l’America è andata avanti. Eppure ci sono dei numeri ancora poco lusinghieri.

Secondo un dossier presentato dalla Brown University e dalla Florida State University otto delle prime 10 città statunitensi più segregate si trovano negli Stati del Nord, tra queste New York, Chicago, Detroit e Philadelphia. Non solo. Stando a uno studio del 2019 della University of California gli studenti neri hanno maggiori probabilità di frequentare scuole intensamente segregate in stati come New York, California, Maryland e Illinois. Quasi tutte città e Stati controllati in larga parte da democratici.

Segno che neppure i liberal più incalliti sono riusciti a riscrivere un passato oscuro.

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