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Libia, ora il petrolio dell'Eni è minacciato dai jihadisti di Isis

Lo stabilimento di Mellitah è un nodo energetico d'importanza fondamentale per l'Italia. Ora è finito nel mirino dello Stato islamico. Sostieni il reportage

Libia, ora il petrolio dell'Eni è minacciato dai jihadisti di Isis

Se il Colosseo è solo una suggestione, Mellitah rappresenta una minaccia assai concreta. Per capirlo basta guardare l'ultimo fotomontaggio dedicato all'Italia dalla succursale libica dello Stato Islamico. In quel fotomontaggio lo stabilimento dell'Eni di Mellitah, situato cento chilometri ad ovest di Tripoli, viene affiancato al Colosseo. E su entrambi sventola una bandiera nera dell'Isis. Quell'infrastruttura rappresenta per l'Italia un nodo energetico d'importanza fondamentale. Nel suo immenso reticolo di tubature confluiscono sia il gas prodotto nel pozzo desertico di Wafa, 520 chilometri più a sud - al confine tra Tunisia, Libia ed Algeria - sia il gas, estratto dal pozzo off shore di Bahr Essalam situato 110 chilometri al largo dalla costa libica. Quel gas soddisfa per oltre il 12 per cento del nostro fabbisogno energetico e rappresenta un bene d'importanza strategica per il nostro paese. Non a caso l’Eni ha investito nel 2004 oltre 7 miliardi di euro in Greenstream, il serpentone di tubi sottomarini che parte da qui e approda, 520 chilometri dopo, a Gela in Sicilia.

Questo nodo cruciale è però sotto la diretta minaccia delle cellule dello Stato Islamico operative, secondo molte fonti d'intelligence tutt'intorno Sabratha, la cittadina adiacente all'antica necropoli romana. Sabratha, distante appena venti chilometri da Mellitah, è da sempre una delle roccaforti del fondamentalismo. Da lì come da Derna partirono negli anni 80 centinaia di volontari diretti per l'Afghanistan. E sempre lì, tra la fine degli anni 90 e la prima metà del 2000 operavano le cellule del "Gruppo Islamico Combattente Libico" la formazione armata parte della galassia alqaidista riconosciuta ufficialmente da Osama Bin Laden. Non a caso i giornalisti arrivati in questa roccaforte della rivolta anti Gheddafi dopo la caduta del dittatore scoprirono che tra i capi dell'insurrezione figuravano almeno 15 veterani dell'Afghanistan. Alcuni dei quali ancora sposati con donne conosciuti durante la militanza jihadista in quel paese. Non a caso l’assassinio di due lavoratori stranieri trovati cadaveri all’inizio del 2014 a poca distanza da Mellitah è stata attribuita ad una formazione del terrore jihadista. Ma oggi la minaccia è ancora peggiore perché nel corso degli ultimi mesi molte delle cellule jihadiste di Sabratha non confluite in "Alba Libia", la coalizione jihadista impadronitasi di Tripoli lo scorso agosto, sarebbero in gran parte passate sotto le bandiere dello Stato Islamico.

E questo rappresenta una minaccia diretta sia per il vicinissimo stabilimento di Mellitah, sia per la piattaforma dell' Eni situata proprio di fronte le coste di Sabratha ed utilizzata per lo sfruttamento del pozzo "off shore" di Bahr Essalam.

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