L'incredibile parabola del "Re di Fiori". Nemico per Bush, Obama lo corteggia

L'ex numero due di Saddam, finanziatore dell'Isis, potrebbe trasformarsi in alleato degli occidentali

Izzat Ibrahim al-Douri, ex braccio destro di Saddam Hussein
Izzat Ibrahim al-Douri, ex braccio destro di Saddam Hussein

Per Saddam Hussein era l'insostituibile e inseparabile braccio destro. Per gli americani decisi a catturarlo era il «re di fiori». Oggi è la Fenice dell'Iraq risorta dalle ceneri del partito Baath, lo stratega e il finanziatore occulto di quella rivolta sunnita che ha finito con il far cadere il nord del Paese nelle mani dello Stato Islamico. Ma è anche un amico dei cristiani. E potrebbe diventare l'inconfessabile alleato dell'Occidente contribuendo a bloccare gli orrori che ha contribuito a creare.

Comunque sia Izzat Ibrahim Al Douri, il 72enne vice presidente di Saddam, è l'impenetrabile mistero dietro al nuovo orrore iracheno. A dar retta agli americani doveva esser già mezzo morto 11 anni fa. Eppure, nonostante una leucemia e un inconfondibile capello pel di carota, resta l'unico alto gerarca sfuggito alla cattura. Da allora l'imprendibile «primula rossa», inseguita da una taglia da dieci milioni di dollari, non ha mai smesso di guidare l'insurrezione sunnita.

E grazie ad un manipolo di fedelissimi ex-ufficiali di Saddam Hussein ha contribuito al trionfo dello «Stato Islamico dell'Iraq e del Levante». Un contributo diventato evidente a metà luglio quando il ringhio rauco e rancoroso della «fenice» Al Douri saluta «le vittorie degli eroi e dei cavalieri di Al Qaida e dell'Isis», invita i sunniti a «unirsi ai ranghi dei ribelli» per garantire la «liberazione di Bagdad» e far cadere Nouri Al Maliki, il premier sciita «servo dei colonizzatori persiani».

Dietro quel messaggio non c'è solo la vanagloria di un nostalgico del partito Baath. Dal 2004 Al Douri è lo «sceicco invisibile» dell'«Armata degli uomini dell'Ordine dei Naqshbandi», formata da migliaia di ex militari saddamisti. Una formazione che pur ispirandosi alla nativa fede sufi, una corrente islamica mistica e pacifista, dell'ex vice-presidente e al nazionalismo del partito Baath non si fa scrupoli a combattere al fianco dei gruppi jihadisti. L'alleanza di comodo, stretta a Falluja nel 2004, non ha mai smesso di esistere.

Nel marzo 2013 quando l'esercito iracheno massacra 53 rivoltosi a Hawjia, citta natale di Saddam, sono gli uomini di Al Douri a riaccendere la ribellione sunnita. E Azhar Al Obeid e Ahmed Abdul Rashid - i due ex generali saddamisti nominati governatori di Mosul e Tikrit dopo la caduta delle citta nelle mani dell'Isis - non sono militanti jihadisti, ma fedelissimi di Al Douri. Quelle nomine sono il riconoscimento del cruciale ruolo giocato sul campo dalla formazione saddamista, l'unica che nel corso degli anni ha addestrato i propri combattenti sulla base di finalità rigorosamente militari e dell'ideologia laica del partito Baath.

Ma l'Armata Naqshbandi oltre ad affidarsi ad ufficiali temprati da trent'anni di guerre conta anche sui contatti di Al Douri. Il «re di fiori» oltre a controllare una parte dei vecchi «tesori» di Saddam Hussein si affida ad una rete di alleati apparentemente eterogenei e discordanti. A proteggerlo, oltre ai servizi segreti siriani che lo hanno ospitato dopo la caduta di Saddam, ci sono un'Arabia Saudita sempre pronta ad appoggiare i nemici degli ayatollah iraniani e un Qatar alla ricerca di pedine meno indecenti dopo anni di finanziamenti ai massacratori dell'Isis.

Forte di queste protezioni la «fenice» Al Douri non esita a spiccare un nuovo volo non appena l'Isis dichiara guerra ai cristiani iracheni, una comunità religiosa che non ha mai smesso di rimpiangere il vecchio ordine saddamista. La cacciata dei cristiani da Mosul e la campagna di persecuzione è uno schiaffo in faccia a tutti quei comandanti di Al Douri che a giugno hanno contribuito a rassicurare preti e vescovi convincendoli a fidarsi del gruppo jihadista.

Da quel momento l'alleanza di comodo dell'ex vice-presidente iracheno con il truce fanatismo islamista viene meno. Il 23 luglio Al Douri denuncia «l'allargarsi dei crimini dell'Isis ultimo dei quali la cacciata fratelli cristiani da Mosul» e dichiara a sua volta guerra al fanatismo jihadista. E l'ultimo colpo di coda della Fenice. Il colpo di coda che potrebbe trasformarlo nell'inatteso alleato dell'Occidente. Un alleato indigeribile, ma forse indispensabile.

Un lungo colloquio telefonico quello di ieri tra il premier Matteo Renzi e il presidente americano Barack Obama, durante il quale i due si sono confrontati su diversi temi caldi. Prima di tutto, la crisi in Irak, rispetto alla quale sia il ministro degli Esteri Federica Mogherini che il sottosegretario Lapo Pistelli avevano dichiarato di valutare un invio, da parte dell'Italia, di aiuti militari in Kurdistan. La stessa richiesta era arrivata sempre da Mogherini e dal suo omologo francese anche all'Unione europea.

Renzi e Obama si sono confrontati anche sugli altri fronti, la Libia e l' Ucraina. E sull'Africa, dopo la missione del presidente del Consiglio e all'indomani del Vertice Usa-Africa di Washington. Infine hanno discusso dell'agenda da mettere in campo per rilanciare la crescita in Europa.

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