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"L'inverno di Praga" gela l'Occidente

Settantamila persone hanno sfilato a Praga per dire «no alla Nato», no al caro bollette e stop alle sanzioni alla Russia. Le proteste ceche rischiano di contagiare Roma e Parigi

"L'inverno di Praga" gela l'Occidente

Piazza San Venceslao è un inganno e una speranza. A vederla, nel cuore di Praga, appare come un lungo viale di circa settecentocinquanta metri. Qui di solito passa la storia. È su queste pietre che in un pomeriggio di gennaio del 1969 Jan Palach sfidò l'imperialismo sovietico. Si fermò ai piedi della scalinata del Museo Nazionale e posò il cappotto e la borsa, poi aprì con un coltellino una bottiglia di etere e ne annusò il contenuto, sollevò la tanica di benzina e se la buttò addosso e con un cerino prese fuoco. Quel rogo umano segnò la fine della «primavera di Praga».

È in questa piazza che Václav Havel prese le redini, nel novembre del 1989, della «rivoluzione di velluto» che nel nome dei Velvet Underground chiuse i conti con la dittatura comunista. Adesso, e in un altro secolo, la piazza torna a riempirsi e lo fa senza inseguire in alcuna primavera. Non si sa quanti sono esattamente, forse settantamila, forse di più. Non hanno molto in comune se non la rabbia contro il governo conservatore di Petr Fiala e ciò che hai loro occhi rappresenta. Sono qui per sacramentare contro l'Europa, contro la Nato, contro l'appoggio all'Ucraina, contro le sanzioni a Putin. L'America è il loro nemico giurato e il loro orizzonte è l'inverno.

È la loro paura, che scorre sulle bollette del gas, sui prezzi che crescono al supermercato, sul salario che non arriva a fine mese. Non hanno più alcuna voglia di ragionare e ascoltano solo le parole di chi sa cavalcare la loro rabbia. I loro leader sono pezzi del vecchio partito comunista, che in questa rivolta trova sponde con euroscettici e ultranazionalisti e con i populisti di Tomio Okamura, che sbandierano i vessilli di «Libertà e democrazia diretta», uno slogan che a pelle piacerebbe ai Cinque Stelle italiani, se sotto quelle parole non ci fosse troppa destra. Quello che li accomuna, sotto le ideologie, è la simpatia per le ragioni di Putin, perché tutta questa storia è esattamente quello che il Cremlino stava aspettando.

È l'Europa che va in frantumi, slabbrata, dilaniata, con le piazze che finiscono per tifare per Putin, l'uomo che ha in mano i rubinetti del gas e che porta avanti una guerra più grande di quella che si vede in Ucraina. L'obiettivo di Mosca è mostrare al mondo come ormai le democrazie occidentali non siano più in grado di rispondere alle sollecitazioni di questo tempo senza pace. Basta guardare a quello che accade negli Stati Uniti, dove Biden e Trump non si riconoscono più nella stessa America. La fine del modello occidentale è la scommessa che lega, contro il passato, Mosca e Pechino. La mossa profonda è destabilizzare e il gioco è iniziato. Praga è la prova del fuoco.

Ora l'obiettivo è arrivare a Parigi, Berlino, Madrid e Roma. Non importa che le piazze siano per ora solo una minoranza numerosa. La loro funzione è innescare la discordia, puntando sull'inverno che ci aspetta e delegittimando quell'Europa che non riesce a dare una risposta compatta alla paura delle masse. Ti chiedi se i governi dell'Unione sanno quello che stanno facendo. Se c'è la forza e la voglia di rispondere a Putin con azioni mirate, come quella del tetto sull'acquisto del gas, e si mettano da parte egoismi nazionali e rigidità formali. C'è da ripensate le politiche economiche e liberare i salari dalle tasse. Non basta chiedere sacrifici.

L'inverno di Praga è una promessa di instabilità.

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