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Mahsa uccisa per il velo. Il pugno duro del regime sulla protesta in piazza

Donne senza hijab alla guida della rivolta. La repressione fa 5 vittime e 75 feriti

Mahsa uccisa per il velo. Il pugno duro del regime sulla protesta in piazza

La rabbia è di nuovo un fiume in piena, il coraggio del popolo iraniano è dispiegato nelle piazze per fronteggiare un regime che uccide i suoi cittadini pur di conservare il potere degli Ayatollah: una folla di giovani grida slogan di protesta nelle strade, molte donne si strappano il velo, mettono in gioco di fronte alla brutalità della polizia che picchia e spara, il bene più prezioso, la vita. Si parla già di 5 persone uccise e 75v ferite da lunedì in varie città del Paese.

La ragione dell'ira iraniana è un'orrida e non inconsueta vicenda legata alle regole imposte dalla «polizia morale»: Mahsa Amini, una bella ragazza curda di 22 anni, era in gita con la famiglia da Saqez la nella provincia curda dell'Iran, quando la «polizia della moralità» l'ha arrestata perché non aveva la testa coperta «propriamente». Trasportata in un furgone al centro di «rieducazione» è stata picchiata e torturata a morte. La polizia nega ogni responsabilità, il primo ministro Raisi ha telefonato alla famiglia dichiarandosi addoloratissimo. Ma non sono molti quelli che credono che Mahsa sia morta di un attacco cardiaco, come le fonti ufficiali suggeriscono, anche perché la famiglia ha ripetuto che era in perfetta salute e chi ha potuto accedere a foto e documenti parla di una frattura del cranio.

Durante il suo funerale alcune donne si sono strappate il hijab e la folla ha intonato lo slogan «morte al dittatore». La repressione delle manifestazioni, ormai in corso da tre giorni, spara, uccide, arresta in massa i manifestanti. Mahsa, sulla cui tomba qualcuno ha scritto «Non sei morta, il tuo nome sarà il nostro simbolo», è ormai un simbolo come Nada Sultan, la bella ragazza di cui è impossibile dimenticare la morte in strada, freddata da un cecchino a Teheran nel 2009, una musicista di 26 anni il cui nome diventò una bandiera internazionale per i diritti umani nel Paese in cui i diritti umani non esistono.

Dopo che i manifestanti hanno sfidato la repressione per chiederne l'abolizione, ora anche alcuni parlamentari hanno osato criticare l'istituzione, chiedendone la revisione o l'abolizione. La «polizia morale», nota anche come Gasht-e Ershad, o «pattuglia della morte», «non ottiene alcun risultato, se non quello di causare danni al Paese», ha detto il deputato Jalal Rashidi Koochi. Il presidente del Parlamento, Mohammad Bagher Ghalibaf, ha chiesto che la condotta di questa unità sia oggetto di un'inchiesta: per evitare che si ripeta quanto accaduto a Mahsa, dice, «i metodi utilizzati da queste pattuglie dovrebbero essere rivisti». Ancora più radicale un altro parlamentare, Moeenoddin Saeedi, che ha annunciato la sua intenzione di proporre l'abolizione totale del corpo.

Le leggi che condannano a morte gli omosessuali, le fedifraghe nel matrimonio, che danno alle donne un ruolo dimezzato, che perseguitano tutta una serie di altri pretesi violatori della moralità e della fedeltà istituita dagli Ayatollah nel 1979 hanno fatto dell'Iran, oltre che il Paese numero uno nell'aggressività antisemita che nega (come ha fatto ieri il primo ministro) la Shoah, un campione nell'uso della pena di morte.

Dal 2010 le esecuzioni sono tate 6.825, nel 2022 siamo già a 414. Il 5 settembre due donne nella città di Urumieh sono state trovate colpevoli di «traffico di esseri umani» secondo l'agenzia di informazione della Repubblica Islamica, ma si riporta con molta attendibilità che siano state condannate a morte per omosessualità. Sono la 31enne Zahra Sedughi e la 24enne Elham Chubdar.

Le dimostrazioni in queste ore sono potenti, la gente è coraggiosa come già nel 2009. È difficile prevedere l'esito dei moti attuali. L'intensificarsi del ritmo degli scoppi di collera pubblici fanno pensare che la rete del dissenso sia migliore, più organizzata di quella che portava la gente in piazza solo una volta ogni dieci anni. La figura di Raisi, simile nella durezza a quella di Ahmadinejad, non ha appeal personale, e Khamenei non gode di buona salute.

Forse nel nome di Mahsa, donna coraggiosa, si prepara una lunga rivolta per la libertà.

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