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Il Papa commuove la Corea e convince la Cina

Il Papa commuove la Corea e convince la Cina

Da ieri il signor Lee Ho Jin si chiama Francesco. Come il Papa. È il padre di un ragazzo rimasto vittima del naufragio del traghetto Se-Wol, affondato al largo delle coste coreane ad aprile. Bergoglio lo ha incontrato al suo arrivo e ieri lo ha battezzato, partecipando in prima persona alla vita e alla vitalità del cristianesimo coreano, cui molti si convertono da adulti. Il Papa tocca un'altra delle piaghe sanguinanti di questo popolo, incontrando alcune superstiti di quasi 200mila schiave - le confort women - nel ventennio a cavallo del secondo conflitto mondiale furono deportate in Giappone come prostitute per i soldati dell'Impero.

Due gesti, tra i tanti di questi giorni, che mostrano quanto Francesco sia entrato in empatia con il popolo coreano, fino a toccarne il cuore, soprattutto quando soffre. E mostrano quanto lo stesso Francesco ha raccomandato anche ieri ai vescovi dell'Asia: «dialogo», «apertura verso tutti», «empatia» e «sincera accoglienza» degli altri. Con un nota bene: senza «un radicamento in Cristo» anche il dialogo «viene ridotto a una forma di negoziato, o sull'accordo sul disaccordo». Ancora: «Non posso dialogare se non sono aperto all'altro. Bisogna dire “vieni a casa mia, bisogna aprire il cuore”». È questo che «ci rende capaci di un vero dialogo umano» e di «un genuino incontro, in cui il cuore parla al cuore».

È il rapporto che ha instaurato con i giovani, che ieri Francesco ha incontrato per la Messa conclusiva della Gmg asiatica. «Wake up!», «alzatevi!», «svegliatevi!» ha scandito, accompagnando l'esortazione con il gesto della mano. Poi l'invito a farsi testimoni, vivendo pienamente le proprie tradizioni, purificate alla luce del Vangelo. Ad ascoltarlo diversi gruppi di ragazzi cinesi. Non solo i 60 della delegazione ufficiale, ma altri 200-300 arrivati alla spicciolata, dopo che Pechino nei giorni scorsi ha bloccato diversi gruppi.

Proprio alla Cina è rivolto lo sguardo di Francesco, che ai vescovi ha detto parole significative: «Spero fermamente che i Paesi del vostro Continente con i quali la Santa Sede non ha ancora una relazione piena non esiteranno a promuovere un dialogo a beneficio di tutti. Non mi riferisco solo al dialogo politico ma anche al dialogo fraterno». Non solo Pechino, ma anche. Non solo Pyongyang, ma anche, nonostante l'annuncio di esercitazioni militari che colpiranno Seul. Poi «a braccio»: «Questi cristiani non vengono come conquistatori, non vengono a toglierci la nostra identità. Ci portano la loro, ma vogliono camminare con noi».

Un segnale che il South China Morning Post , quotidiano della comunità anglofona di Hong Kong, legge come «un chiaro riferimento alla Cina», di più, come «un ramoscello d'ulivo» teso dal Papa a Pechino. Un ulteriore spiraglio, dopo il telegramma (di rito, ma pur sempre una «prima volta») inviato al momento del sorvolo della Cina. Il portavoce del ministero degli Esteri ha commentato: «La Cina è sempre stata sincera nel migliorare le sue relazioni con il Vaticano e ha sempre fatto sforzi positivi in questo senso».

Padre Mathew Zhen Xuebi, noto esponente della comunità cattolica riconosciuta dal governo, è arrivato ad auspicare che un giorno «il Papa sarà in grado di visitare la Cina».

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