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Il pasticcio di Roma spinge l'Armenia in guerra

Consiglieri di Renzi ingannati da documento-trappola sull'Azerbaigian

Il pasticcio di Roma spinge l'Armenia in guerra

Sembrava una bagatella. Una maldestra truffa da bassa diplomazia messa a segno approfittando della scarsa esperienza del governo di Matteo Renzi. Ora rischia di rivelarsi la premessa romana di un progetto molto più serio. E assai pericoloso. Un progetto azero studiato per riaprire la guerra del Nagorno Karabakh e rivendicare i territori dell'enclave armeno-cristiana da vent'anni fa sotto il controllo dei miliziani appoggiati da Erevan.

Una guerra riaperta senza mezzi termini dal presidente azero Ilham Aliyev che il 7 agosto annuncia su twitter la volontà di riprendersi il Nagorno Karabakh. «Vi restituiremo - scrive Aliyev - tutte le città occupate e distrutte. Torneremo su questa terra, viviamo e vivremo con questa idea». Una dichiarazione resa più preoccupante dalle mosse dell'esercito azero che alla fine di luglio ha ripreso a combattere lanciando una serie di attacchi sistematici alle postazioni armene costati una cinquantina di vite e un centinaio di feriti.

Per capire il gioco azero, ovvero il tentativo di garantire una copertura diplomatica alla proprio interventismo sfruttando l'inesperienza del governo di Matteo Renzi, bisogna tornare al 13 luglio, quando Aliyev sbarca a Roma e incontra il nostro presidente del Consiglio. Al termine del vertice sugli accordi per la Trans-Adriatic pipeline (Tap), il gasdotto destinato a portare il gas azero in Puglia, la delegazione di Aliyev esibisce un'ambigua bozza che avvalora l'idea di un'intesa con l'Italia per il ritorno del Nagorno Karabakh all'Azerbaigian.

I consiglieri diplomatici di Renzi, invece di respingerla con un secco «no» in quanto contraria a tutte le delibere europee ed internazionali, prendono tempo. La Farnesina, invece, si accorge del pasticcio e cerca di rimediare. Ma è troppo tardi. Mentre l'Italia temporeggia l'ambasciata azera pubblicizza la finta bozza dandola per firmata. Dietro quel bluff c'è il tentativo di sfruttare l'esitazione italiana per saltare a pié pari tutti i precedenti negoziati con il Gruppo di Minsk, la struttura dell'Osce composta da Stati Uniti, Francia e Russia e altri Paesi (Italia compresa) che da vent'anni cerca una soluzione diplomatica al conflitto.

L'incertezza italiana, non attribuibile stavolta all'inesperienza di un ministro degli Esteri impegnato invece a risolvere il caso, rischia - viste le conseguenze - di compromettere non solo la nomina della Mogherini, ma quella di qualsiasi altro candidato italiano alla Commissione di Bruxelles.

Ma le conseguenze più gravi rischiano di essere quelle sul terreno. Il riesplodere del conflitto tra Azerbaigian e Armenia - in un momento in cui la comunità internazionale si dimostra incapace di fronteggiare le crisi di Gaza, Ucraina, Libia e Iraq - rischia di rigettare nel caos quella fragile area del Caucaso dove s'intrecciano le sfere d'influenza di Russia, Turchia e Iran.

E di trasformare la piccola Armenia cristiana nel classico vaso di coccio tra i vasi di ferro.

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