Dalla Primavera araba all'Isis ​La disfatta globale già scritta

Così l'informazione omologata e politicamente corretta ha spianato la strada ai tagliagole del Califfato

Dalla Primavera araba all'Isis  ​La disfatta globale già scritta

Da quel fatale inizio del 2011 son passati cinque anni eppure per alcuni sembra ancora ieri. Colleghi, scrittori e intellettuali ancora intorpiditi dal sonno della ragione che li spinse a scambiare per rivoluzioni democratiche e liberali le "Primavere Arabe" continuano a chiedersi cosa sia andato storto. La risposta è nulla. Andò tutto come doveva andare.

La Fratellanza Musulmana con l'appoggio del Qatar e l'inspiegabile quanto autodistruttiva connivenza di un'amministrazione Obama mise da parte tutti i dittatori meritevoli, nel bene o nel male, di garantire da decenni la parziale stabilità del Medio Oriente e i suoi rapporti con l'Occidente.

Così mentre i regimi di Tunisia Egitto e Libia cadevano come birilli e in Siria s'accendeva l'inferno che divorerà 250mila vite e genererà lo Stato Islamico i raffinati "maître à penser" della sinistra e del "politicamente corretto"beatificavano il sogno di un Islam politico, tollerante e democratico.

Quel sogno e quell'illusione, come le tutte ideologie della sinistra dall'Urss in poi, erano il semplice frutto d'elucubrazioni cerebrali prive di contatti con fatti e realtà. Sono diventate presunta verità tramite la spregiudicata disponibilità di un'informazione pronta ad assecondare non solo quell'inspiegabile sonno della ragione, ma persino, come dimostra il generale consenso che per anni ha circondato la causa dei ribelli siriani, i mostri da lei generati.

Eppure tutto era già visibile. Tutto era già evidente. Per capirlo basta andarsi a rileggere gli estratti di alcuni articoli scritti per "Il Giornale" in quei tre mesi che sconvolsero il Medioriente. Il 24 gennaio, dieci giorni dopo la caduta e la fuga del presidente Ben Alì, ecco quel che scriviamo su "Il Giornale" (clicca qui) riguardo al rischio di un'involuzione fondamentalista in Tunisia.

"Venerdì le moschee di Tunisi erano gremite di folle ansiose di ascoltare i sermoni in onore dei 78 morti della rivoluzione promossi da semplici caduti a santi “martiri della rivoluzione”. Non è un dettaglio. Non è una variazione lessicale di poco conto. L’uscita allo scoperto dei predicatori, l’utilizzo di vocaboli fino a ieri accuratamente evitati segnala la caduta delle rigorose e spietate barriere repressive e l’imminente riemergere dell’ondata islamista."

Il 30 gennaio così su "Il Giornale" anticipiamo (clicca qui) l'inevitabile progressiva perdita d'influenza degli Usa in Medio Oriente. "…dire addio al Cairo significa perdere il primo paese capace di siglare una pace con Israele, rischiare la catastrofe economica di una Suez in mano al fondamentalismo, rinunciare ad uno dei capisaldi nella contrapposizione con l’Iran. Significa, in altre parole, firmare la Waterloo americana in Medioriente.

Il 31 gennaio 2011 così su "Il Giornale" denunciamo il rischio di abbandonare l'Egitto ai Fratelli Musulmani. "A differenza delle altre organizzazioni i Fratelli Musulmani sono gli unici a possedere una struttura clandestina, gli unici a coordinarsi attraverso una rete di moschee, militanti e sostenitori attivi in tutto il paese…….Non a caso mentre El Baradei ritorna con i manifestanti di piazza Tahiri Mohammed Morsi, uno dei sette capi liberati la notte prima , racconta in un’intervista ad Al Jazeera come è stato tirato fuori di galera dai suoi fratelli armati".

Il 4 febbraio 2011 su "Il Giornale" (clicca qui) così stigmatizziamo il tentativo di intellettuali e stampa di sinistra di spacciarr per moderati i "Fratelli Musulmani"

Ed allora godetevi la moderazione del “fratello musulmano” Rajab Hilal Hamida che nel 2006, dall’alto del suo scranno parlamentare così declama: «Dal mio punto di vista Bin Laden, Al Zawahiri e Al Zarqawi non sono terroristi nel senso accettato da qualcuno. Io appoggio tutte le loro attività, dal momento che sono una spina nel fianco di americani ed egiziani... »

Il 21 marzo 2011 così preannunciamo il rischio che in caso di eliminazione di Gheddafi la Libia diventi il nuovo centro del terrore islamista. "In Libia il rischio è lo stesso. Di qui a pochi mesi potremmo ritrovarci con un paese caduto dalla padella della dittatura, alla brace del fanatismo.Esattamente come in Somalia e in Iraq. L’attizzatoio della brace è proprio quella Cirenaica considerata il simbolo della voglia di libertà e democrazia del popolo libico. Per capirlo basta esaminare i documenti recuperati nel 2007 nella base alqaidista di Sinjar in Iraq. Quei documenti analizzati dal Centro Anti Terrorismo di West Point rivelano che uno su 5 delle centinaia di giovani stranieri arruolatisi nelle file di Al Qaida Iraq proveniva dalla Libia Orientale e più precisamente dalle città di Sirte, Misurata e Derna". Insomma a differenza di quanto vi raccontano le anime candide dell' intellighenzia di sinistra, la stessa che negli anni 70 scambiava per sinceri democratici i "khemr rossi" di Pol Pot e i "rivoluzionari" iraniani di Khomeini, era già tutto scritto.

Bastava aver voglia di leggere.

E comunque lo Stato Islamico saluta e ringrazia. Finché Occidente ed Italia resteranno nelle mani di quanti hanno gestito la narrazione e l'analisi delle primavere arabe le sue vittorie sono assicurate.

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