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Procedimento di impeachment contro Dilma Rousseff

Il presidente del Brasile: "Non sono una ladra, tutti conoscono i miei difetti e sanno che non sono una ladra"

Procedimento di impeachment contro Dilma Rousseff

“Non sono una ladra, tutti conoscono i miei difetti e sanno che non sono una ladra”. Così ieri sera la presidente del Brasile Dilma Rousseff ha reagito alla decisione del presidente della Camera, Eduardo Cunha - in teoria un suo alleato di governo - di accogliere la domanda di impeachment presentata mesi fa da tre cittadini, tra cui anche Helio Bicudo, uno dei fondatori nel 1980 del PT, il partito di Lula e, dal 2002, anche di Rousseff.

“Dilma mente”, le ha risposto poco fa Cunha in quella che sembra ormai una guerra dove “non si fanno prigionieri”, una cosa seria insomma, non fosse per i protagonisti, degni più di una commedia felliniana che di comandare i destini del paese più importante dell’America latina.

Cunha, infatti, non è un “angelo moralizzatore” e se l’impeachment contro Rousseff è solo la logica conseguenza di quanto accaduto lo scorso 8 ottobre - quando la Corte dei Conti brasiliana denunciò bilanci truccati per 106 miliardi di reais - la cosa davvero strana è che il presidente della Camera ci abbia messo due mesi a decidere.

Il motivo è semplice: se infatti Dilma è accusata di avere falsificato i conti usando miliardi delle banche statali per coprire voragini di bilancio, anche Cunha “rischia il posto” per un processo contro di lui nel Consiglio di Etica della Camera che dovrebbe iniziare prossima settimana.

Dalla Mani Pulite che sta sconvolgendo il Brasile è infatti emerso che il presidente della Camera aveva almeno 4 conti milionari in Svizzera non dichiarati. E così, proprio mentre Dilma veniva messa spalle al muro dalla Corte dei Conti per i conti truccati (ribattezzati ciclisticamente dai brasiliani “pedalate”), Cunha s’inventava una storia degna di Zelig, ovvero che quei milioni sui suoi conti svizzeri erano frutto di investimenti africani nel settore della carne in scatola.

A quel punto – era la metà di ottobre - tra PT (e governo) da un lato e Cunha dall’altro iniziava una trattativa sotterranea: tu presidente della Camera blocchi la richiesta di impeachment contro Rousseff e noi del PT stoppiamo il Consiglio di Etica. Deus ex machina del “negoziato”, l’abile ministro Jaques Wagner, già governatore di Bahia e uomo di Lula.

Tutto bene sino a settimana scorsa quando, in appena 24 ore venivano arrestati nell’ambito della Mani Pulite verde-oro tre pezzi da 90: l’amico “cassiere” di Lula, Bumlai, il capo del governo (e del PT) al Senato, Amaral, ed il miliardario Esteves. Lì l’accordo si rompe.

Passano pochi giorni ed un figlio di Lula viene indagato per avere intascato da un lobbista (arrestato) milioni che gli inquirenti ritengono possano essere la “retribuzione” per una legge ad hoc che avvantaggia il settore auto.

Improvvisamente, dopo 2 mesi di “letargo”, il segretario del PT, Rui Falcao, riscopre la furia moralizzatrice ed annuncia che i suoi “scaricheranno” Cunha, aprendo il processo per farlo decadere da presidente della Camera e da deputato per i conti svizzeri.

Da lì all’accettazione dell’impeachment contro Dilma da parte di Cunha passano meno di 24 ore.

Analizzando l’odierno verminaio politico brasiliano è difficile che Rousseff possa essere mandata a casa facilmente visto che le basteranno appena 171 voti per affossare l'impeachment contro di lei, ovvero un terzo dei voti più uno di senatori e deputati in seduta parlamentare congiunta.

Difficile anche perché, un’ora prima dell’annuncio di Cunha, ieri il Parlamento ha approvato a larghissima maggioranza (oltre 300 voti) il bilancio di quest’anno, con ben 120 miliardi di reais di deficit, una grande vittoria per Rousseff.

In realtà, se impeachment o meno sarà – si voterà entro il prossimo 2 giugno - molto dipende dall'economia in crisi profondissima e, ancora di più, dai prossimi sviluppi della Mani Pulite brasiliana.

Di certo c’è che il possibile sostituto, il vice-presidente Michael Temer, è dello stesso partito di Cunha, al pari del presidente del Senato, Renan Calheiros.

Piccolo particolare: di Temer corre voce sia il vero deus ex machina, il controllore occulto del porto di Santos dal quale, secondo il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, uscirebbe l’80% della cocaina che arriva ogni anno in Europa.

Renan, dal canto suo, è noto alle cronache per numerosi casi di corruzione, compreso il celeberrimo Renangate, un riferimento neanche troppo velato al Watergate. Inoltre, da due giorni, il Supremo Tribunale Federale lo sta indagando per un presunto coinvolgimento nella Mani Pulite verde-oro.

Insomma, al di là dell’impeachment di Rousseff e visti i possibili sostituti, non è escluso che nell’autunno del 2016 i brasiliani votino anche per scegliersi un nuovo presidente della repubblica oltre che per le già programmate amministrative.

Per questa possibilità conditio sine qua non è che il Supremo Tribunale Elettorale entro il prossimo aprile sancisca che le campagne elettorali di Dilma e del suo vice Temer sono state finanziate con soldi frutto di tangenti Petrobras.

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