Il secondo martedì di ottobre è il Columbus Day, negli Usa, come da tradizione da 129 anni. La festa della scoperta dell’America da parte del navigatore genovese, però, a Philadelphia, si celebra con la sua statua coperta da un box. Un po’ come le statue dei Musei Capitolini fatte coprire dal governo Renzi in occasione della visita del presidente iraniano Rouhani. In questo caso, la copertura non è motivata dalla religione, o dal pudore: la statua di Colombo non riproduce un corpo nudo. Ma, secondo le motivazioni della Corte del Commonwealth di Pennsylvania, mostrarla potrebbe dare origine a gravi disordini. "Rimuovere la copertura durante il fine settimana di questa celebrazione, potrebbe porre un serio pericolo alla sicurezza pubblica". Questo pronunciamento della Corte ribalta la decisione della Corte delle udienze comuni di Philadelphia che, il giorno prima, aveva ordinato di “liberare” la statua dalla sua gabbia. Il sindaco Jim Kenny si era rifiutato di eseguire l’ordine e lunedì, all’ultimo minuto, la Corte del Commonwealth gli ha dato ragione.
La campagna contro le statue
Se Philadelphia fosse un caso singolo, sarebbe semplicemente un fatto curioso. Ma non lo è. Quest’anno, infatti, ben 25 Stati degli Usa, la metà dei governi locali americani, hanno rimosso la celebrazione del Columbus Day. Nella maggior parte dei casi, l’hanno sostituita con l’Indigenous Peoples Day, quest'anno celebrato l'11 ottobre: il giorno dei popoli indigeni, dei nativi americani. Lo scopo di questa sostituzione, nell’anno delle contestazioni di Black Lives Matter, è ovviamente l’antirazzismo, un omaggio a chi, la colonizzazione europea, la subì. Già 33 fra statue, monumenti e busti sono stati distrutti dai manifestanti. Altri monumenti come quelli di Columbus (che porta il nome del navigatore), sono stati rimossi per volontà delle autorità locali. Se non altro per quieto vivere, comuni come Philadelphia preferiscono nascondere.
A fronte di questa ribellione, il presidente Joe Biden, quest’anno, ha fatto l’equilibrista. Ha infatti proclamato il Columbus Day, come tutti i predecessori, ma ha anche riconosciuto le ragioni dei suoi contestatori: "Oggi riconosciamo la storia dolorosa dei torti e delle atrocità che molti esploratori europei hanno inflitto alle nazioni native e alle comunità indigene. È una misura di grandezza della nostra nazione quella di non seppellire questi vergognosi episodi del passato".
L'origine del Columbus Day
Se però la causa dell’Indigenous Peoples Day contro il Columbus Day è motivata dalla memoria dei crimini ed è contro il razzismo, di quale razzismo parliamo? Nei confronti di chi? Cristoforo Colombo, a partire dal 1892 (a 400 anni dalla scoperta), è stato celebrato come un simbolo della comunità italiana in America. Un anno prima, undici italo-americani, accusati ingiustamente dell’uccisione di un ufficiale di polizia (e assolti per non aver commesso il fatto) erano stati barbaramente trucidati dalla folla a New Orleans. Benché i linciaggi nell’America dell’Ottocento non fossero così rari, il massacro degli italiani a New Orleans fece scalpore e divenne un caso internazionale (l’Italia, allora governata da Giolitti, richiamò l’ambasciatore).
Per motivi di pubbliche relazioni, nonostante buona parte della stampa di allora arrivasse a sostenere il linciaggio, il presidente Benjamin Harrison aveva annunciato una celebrazione nazionale del giorno di Colombo. Il primo Columbus Day fu quello del secondo martedì di ottobre nel 1892, poi divenne consuetudine negli anni Trenta, dal primo mandato del presidente Roosevelt (che era fortemente sostenuto dagli elettori italiani di New York) e infine fu istituzionalizzato, a livello nazionale, nel 1968, sotto il presidente Johnson.
Abolire il Columbus Day, dunque, è quantomeno un atto di disprezzo nei confronti della comunità italiana e delle sue vittime: vittime del razzismo. Però, evidentemente, c’è una gerarchia anche nel razzismo. Come constata il ricercatore James Brown dell’Intercollegiate Studies Institute, "Cristoforo Colombo è una triplice minaccia: bianco, maschio e cattolico, proveniva dalla Spagna dell’era dell’Inquisizione, come se non bastasse".
La rilettura della storia
Il Giorno dei Popoli Indigeni è praticamente un’invenzione di Berkeley, l’università di San Francisco dove iniziarono sia il movimento per la pace che il ’68 americano. Berkeley fece sua la battaglia, che durava già da anni, del movimento indigenista internazionale, sia del Nord che del Sud America. L’idea venne proposta, a mo’ di provocazione, il 12 ottobre 1992, in occasione dei 500 anni della scoperta dell’America. Lo scopo è la completa rivisitazione della storia del Nuovo Mondo. Secondo questa visione del passato, Colombo fu il “primo dei genocidi” e il “primo degli schiavisti”.
Una condanna che ha un certo fondamento nella storia, considerando che il grande navigatore genovese governò col pugno di ferro Hispaniola la primissima colonia europea in terra americana. Per questo venne rimosso dalla corona spagnola e arrestato dopo la sua terza spedizione. Fu una dimostrazione di civiltà non comune: la Spagna cristiana dimostrava di riconoscere i crimini come tali, anche se commessi contro nativi americani. Purtroppo nella rilettura della storia compiuta alla fine del Novecento, questo merito non viene riconosciuto. Si riconosce solo la brutalità del colonialismo europeo, senza neppure volerlo confrontare con la violenza estrema e sistematica degli imperi americani pre-colombiani.
Celebrare i popoli nativi e non Colombo, vuol dire anche riabilitare gli imperi aztechi e maya? Già sta succedendo, come dimostrano certi piccoli (ma significativi) fatti nel mondo dell’istruzione pubblica. Come la scelta del Dipartimento dell’istruzione della California, per questo anno scolastico, di proporre programmi scolastici di studi etnici (Ethnic Studies Model Curriculum, ESMC) che includono canti comunitari inneggianti agli dei aztechi. La proposta (facoltativa), include l’insegnamento ai ragazzi di inni basati su In Lak Ech che insegna “amore, unità, rispetto reciproco” e Panche Be che descrive il “trovare le radici nella verità”.
Sono concetti nobili ed eterni, che però nascondono una realtà storica e religiosa estremamente crudele. Secondo i proponenti del nuovo programma di studi, nomi come Tezkatlipoca e Huitzilopochtli verranno presentati solo come concetti che, nei popoli indigeni, racchiudevano il significato di riflessione e di azione. Ma, se le parole hanno un senso, Tezkatlipoca è anche il nome di una divinità azteca, potentissima quanto capricciosa, che chiedeva sacrifici umani. In suo nome, prigionieri venivano sacrificati in grotteschi combattimenti gladiatorii. Huitzilopochtli era il dio azteco del Sole e della guerra.
E nei riti si estraeva il cuore della vittima sacrificale. Insomma, se l’eredità della colonizzazione europea e cristiana, con Colombo, viene sepolta e dimenticata, eredità crudeli di altri popoli torneranno inevitabilmente alla ribalta. Perché la storia non ammette vuoti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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