Se l'Italia dà alla Serbia un passaggio per l'Europa

Siamo il primo partner commerciale del Paese che ora conta sul semestre italiano per essere il prossimo membro Ue. E la Fiat fa affari: per noi e loro

La musica di Goran Bregovic e i rovesci di Djokovic, l'epos dei balcani e i film di Emir Kusturica, le curve di Nina Senicar e quelle del Danubio. E soprattutto il sangue. Il sangue della Serbia ha un vigore remoto, ormai sconosciuto all'esangue Ovest del continente, che si può riassumere con una singolarità: non sono tanti i popoli che celebrano la memoria di una disfatta. La Caporetto serba è Vidovdan, il giorno di San Vito, sconfitta rovinosa ma non codarda: i serbi celebrano in quella data la battaglia di Kosovo Polje, il 28 giugno 1389, quando, secondo la tradizione ortodossa, il principe Lazar scelse il martirio in armi piuttosto che sottomettersi agli ottomani. È una ricorrenza sacra che torna ossessivamente nella storia del Paese: il 28 giugno 1914, per dire, un serbo uccise l'arciduca d'Asburgo accendendo la miccia della Prima guerra mondiale. Pagine fondamentali della nostra storia, ma rimaste ancora fuori dalla Ue.

Chiedete a un serbo se vuole entrare in Europa e risponderà amaro: ma noi ci siamo già, proprio al centro d'Europa. Toponimo usato e abusato nell'Ue senza rendersi conto che include di diritto altri confini, altri popoli. Chissà se è anche per questa amputazione che l'Unione resta un disegno sghembo, un sogno incompleto, sempre sull'orlo di scoprirsi incubo.

Belgrado è stata finora tenuta fuori in forza di una condanna frettolosa, degli errori, e orrori, della sua vecchia classe politica, ma anche della faciloneria dell'opinione pubblica europea che si è precipitata a condannare senza appello l'altrui recente passato, perfino in Italia, che a sé stesa concede infiniti gradi di giudizio anche per nefandezze ben più sedimentate della guerra in Jugoslavia. Milosevic è un mostro senza se è senza ma, invece Nerone è stato frettolosamente tacciato di piromania.

Le ferite di quest'esclusione, delle sanzioni, delle bombe Nato, dell'appoggio europeo alla scissione del Kosovo, non si sono ancora sanate a Belgrado, ma c'è una determinazione ferrea a guardare avanti. A essere i prossimi a entrare nell'Ue, entro il 2020 è l'obiettivo, con l'aiuto decisivo dell'Italia.

Un gran pezzo di strada Belgrado l'ha percorso a bordo di una Fiat. Anzi di centocinque Fiat. Tante sono le 500L che attraversano l'Adriatico ogni giorno. Per tutto il mondo, noi compresi, sono auto italiane, ma la rotta è al contrario: l'Italia è il punto di arrivo. Perché le 500L sono il prodotto di punta dello stabilimento degli Agnelli a Kragujevac. Le costruiscono 3.500 operai serbi, le comprano i consumatori italiani, nel 2013 oltre 38.000, su una produzione totale di 120-150.000 unità. È la globalizzazione, bellezza. Ma stavolta i conti tornano: perché molti componenti sono invece fabbricati in Italia da un florido indotto. Il bilancio finale dell'interscambio è un pareggio, 2,38 miliardi di dollari di import dalla Serbia, 2,36 miliardi di export. E la Fiat ci ha guadagnato alla grande grazie ai salari bassi, media intorno ai 400 dollari, super sconto fiscale per ogni assunzione, tasse sugli utili al 15%. Un modello che ha attirato qui 600 aziende italiane, tra cui Geox e Ferrero. Così, grazie anche a un accordo di partenariato firmato nel 2009, siamo diventati il primo partner commerciale della Serbia, scavalcando la Russia.

Ora però, rischia di mettersi di mezzo un altro sanguinoso incidente della storia: il conflitto in Ucraina. Gli Usa premono perché anche la Serbia aderisca alle sanzioni contro la Russia. Una beffa: si chiede a Belgrado, che ha sofferto per le sanzioni europee e americane, di imporle a un Paese fratello, che alla Serbia non ha mai voltato le spalle e che le fornisce il 50% del gas. A Belgrado si cammina sui gusci d'uovo: dialogo con Pristina, ma non riconoscimento del Kosovo, integrità territoriale dell'Ucraina ma mai sanzioni alla Russia.

L'Italia stavolta seguirà i suoi interessi o quelli della Francia, come in Libia? Di recente i jihadisti dell'Isis hanno diffuso un video in cui annunciano di voler conquistare Roma. Forse può servire a ricordarci di chi ha versato il sangue per difendere l'Europa dagli ottomani, nel giorno di San Vito.

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