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Lo Stato islamico recluta donne per attacchi suicidi

Lo Stato islamico ha modificato la sua posizione ideologica sulla liceità delle donne combattenti per rinfoltire i ranghi nella jihad difensiva contro l'Occidente

Lo Stato islamico recluta donne per attacchi suicidi

Con la perdita fisica del suo territorio in Iraq e Siria, lo Stato islamico ha ordinato alle donne ancora fedeli al califfato di effettuare operazioni suicide contro l’Occidente. Gli estremisti, infatti, hanno modificato la loro posizione ideologica sulla liceità delle donne combattenti per rinfoltire i ranghi nella jihad difensiva. La perdita fisica di un territorio limiterà sia la capacità economica che quella di reclutamento massiccio, ma la natura fortemente decentralizzata del gruppo assicurerà una presenza costante nel tempo. La narrativa dello Stato islamico ha già ben delineato il ruolo dell’attuale generazione, destinata a non poter assistere al compimento delle profezie.

La liceità dell’utilizzo delle donne nella jihad

Fino a poco tempo fa lo Stato islamico rivendicava esclusivamente le operazioni di martirio degli uomini. Quando implicate, la frase utilizzata per definire le donne era “sostenitori dello Stato islamico”. Il linguaggio è strumento di influenza con forme metriche strutturate per riflettere la visione di una realtà. E' il linguaggio a definire le azioni accessibili e delegittimare le altre percezioni del mondo. La strategia linguistica dello Stato islamico si basa sul concetto dogmatico della giustizia divina che motiva e azioni in vita. E’ l’interpretazione che motiva l’omicidio, inteso come obbligo sacro. Le azioni fisiche sono soltanto il mezzo per raggiungere l’obiettivo spirituale.

Nel dicembre del 2016, in un articolo pubblicato sul al-Naba, lo Stato islamico afferma che "la Jihad non è, di regola, un obbligo per le donne, ma se il nemico entra nella sua dimora, allora diventa necessaria". Nel luglio del 2017 lo Stato islamico modifica per la prima volta la sua posizione ideologica sulla liceità delle donne combattenti, adottando la medesima postura del suo predecessore, al Qaeda in Iraq. Nell'editoriale Our Journey to Allah, l'autore incoraggia le donne dello Stato islamico a rimanere "incrollabili di fronte alle avversità e nel sostenere i loro mariti" mentre combattevano contro i nemici del califfato. "Le donne sono prima di tutto mogli e madri che devono adempiere ai loro doveri. Le donne devono astenersi dal lamentarsi quando i loro mariti praticano la poligamia". L'editoriale sarebbe del tutto insignificante se non fosse per la parte conclusiva del testo: "E' giunto il momento per le donne di innalzarsi con coraggio e sacrificio su questa terra e seguire le orme di Umm 'Amarah Nusaybah bint Ka'ab. Andate in nome dell'amore della Jihad e di quel desiderio di sacrificarsi ad Allah".

Nel centesimo numero di al-Naba, pubblicato il 5 ottobre del 2017, lo Stato islamico per la prima volta si riferisce alle donne utilizzando la parola mujahidat, guerriere sacre.

Chi era Umm 'Amarah Nusaybah bint Ka'ab

Umm 'Amarah Nusaybah bint Ka'ab, eroina del mondo musulmano, ha combattuto in diverse battaglie, ma viene ricordata particolarmente per aver difeso il profeta Maometto nella battaglia di Uhud riportando dodici ferite. In numerosi testi è ricordata come “la guerriera che andò in battaglia quando molti fuggirono”.

Stato islamico, la jihad difensiva

Da Abu Musab al-Suri a Abdullah Yusuf Azzam

La dottrina della jihad risale ai primi anni dell'Islam ed è stata rivisitata più volte nei secoli. The Call to Global Islamic Resistance, pubblicato nel dicembre del 2004, è il testo di riferimento moderno per la dottrina militare jihadista. 1600 pagine scritte da Abu Musab al-Suri, stratega di al Qaeda. Quel testo è oggi un punto di riferimento per il movimento jihadista globale. Al-Suri espone le sue teorie su come dichiarare la jihad nel prossimo secolo ed i fronti in cui i mujaheddin dovrebbero impegnarsi. Al-Suri intraprende un'analisi dettagliata della jihad globale, classificando l'ordine dei paesi e delle regioni in cui i mujaheddin dovrebbero attaccare. Lo stratega, inoltre, spiega come le singole cellule dovrebbero compieri e rivendicare i loro attacchi. Allo stesso modo, infine, esamina i migliori bersagli e come attaccarli. L'acuta analisi di al-Suri sulla jihad globale dimostra estrema competenza su come colpire efficacemente l'Occidente ed i nemici dei mujaheddin.

La posizione sull'impiego delle donne in guerra, invece, è rimasta pressoché invariata. Mogli, madri ed educatrici della generazione successiva erano escluse dalla jihad. Si deve al terrorista palestinese Abdullah Yusuf Azzam, padre della jihad globale, la nuova giustificazione teologica per l’utilizzo delle donne in battaglia. Nella sua fatwa più famosa, Azzam spiega che “la jihad difensiva è un dovere personale per tutti i musulmani, uomini e donne”. Posizione condivisa anche dal pensatore jihadista Sayyid Imam Sharif, sostenitore dell’addestramento militare per le donne “ma solo nella misura in cui le avrebbe preparate per l'autodifesa contro i nemici dell'Islam”.

Perché i terroristi prediligono l'attacco suicida?

L'attentato suicida è impossibile da prevedere e genera pubblicità. L'attenzione dei media è come l'ossigeno per i terroristi. L'attacco suicida riceve un'enorme copertura mediatica a causa della dinamiche e del danno scioccante inflitto indiscriminatamente contro bersagli e civili inermi. Da non dimenticare, infine, che per un attentato suicida di successo è richiesta poca esperienza e scarse risorse. Pertanto l'attacco suicida è molto più conveniente rispetto ad altre tattiche come la presa di ostaggi che richiede un investimento considerevolmente maggiore nelle risorse, nella pianificazione e nella formazione. Indipendentemente dai loro obiettivi a lungo termine, l'attentato suicida è utilizzato in modo razionale e calcolato dai terroristi. Se utilizzato frequentemente e troppo indiscriminatamente, può diventare meno scioccante nel tempo e persino alienare le popolazioni che i militanti hanno bisogno di sostenere per la loro lotta a lungo termine.

A differenza delle tattiche utilizzate dai kamikaze giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale, gli attentati suicidi sono deliberatamente impiegati dai terroristi per un effetto politico calcolato. Dal 1983 l'attentato suicida è la tattica preferita dai terroristi dallo Sri Lanka alla Cecenia, dall'Afghanistan alla Siria. Le organizzazioni terroristiche sfruttano l’attacco suicida, meccanicamente semplice e tatticamente efficiente, per generare un supporto alla causa. La cintura esplosiva indossata da un martire è la granata a frammentazione perfetta per il duplice motivo di essere intelligente e mimetizzata. Tatticamente parlando a vantaggio dell’attentatore suicida vi è la sua difficile individuazione e la capacità di colpire bersagli altamente sensibili o poco protetti, ma di enorme impatto emotivo è. Se il lone wolf (che solo non è mai) potrebbe essersi evoluto in branco per massimizzare l’efficacia e coordinare gli attacchi, il terrorismo islamico ha già dimostrato il fine delle sue azioni: spettacolarizzare la morte. La sensazione di insicurezza costante, il modificare il proprio stile di vita, il cedere alcune libertà individuali sacrificandole sull’altare della sicurezza: il terrorismo si pone l’obiettivo di scardinare gli schemi classici, modificando e plasmando lo status quo che la società conosce. Il danno inflitto dagli attentati suicidi è sia fisico che psicologico e si basa sull'elemento sorpresa. La sorpresa viene generata trasformando il quotidiano o l’innocenza dei bambini (raramente senzienti) in armi.

Ambire al martirio

La vulnerabilità al terrorismo è determinata dall'estrema povertà, dalla scarsa istruzione e dall’instabilità costante. Poiché i bambini ed i giovani hanno meno probabilità di capire la differenza tra bene e male, sono facilmente manipolabili e attirati dalla violenza. Proprio l’istruzione gioca un ruolo fondamentale nel plasmare il futuro di un bambino. Nelle comunità povere ed instabili, i terroristi utilizzano la narrativa strategica per manipolare le giovani menti e portarle alla loro causa. Nella distorta visione della realtà propinata dai terroristi, il martirio diventa un'ambizione per i giovani. Se avessero ricevuto una corretta educazione in un contesto normale, non cercherebbero un valore nella morte. L'economia poi, game changer nella vita di una persona. Nelle nazioni povere i giovanissimi hanno maggiori probabilità di svolgere attività illegali per guadagnare denaro e sostenere la propria famiglia. Lo Stato islamico ad esempio è stata una delle prime organizzazioni terroristiche a stipendiare i giovani sotto i 18 anni, cosa che i governi locali non facevano. Negli ambienti instabili, i membri delle organizzazioni terroristiche costringono le famiglie ad inviare i propri figli a combattere per loro. Concentrarsi esclusivamente sulla leadership delle organizzazioni terroristiche non è sufficiente poiché manca il più ampio contesto socio-economico che consente loro il reclutamento. Violenze, umiliazioni e mancanza di opportunità derivano dal fallimento dei sistemi educativi e della stagnazione economica in molte parti del mondo.

I testi strategici di al Qaeda e dello Stato Islamico

Creare posizioni non negoziabili

Il principale testo operativo di al Qaeda si intitola Management of Savagery: The Most Critical Stage Through Which the Umma Will Pass è stato pubblicato nel 2004. E’ l’unica opera della letteratura pubblica jihadista ad essere stata firmata da Abu Bakr Naji. Si ritiene che fosse l’egiziano Mohammad Hasan Khalil al-Hakim noto anche come Abu Jihad al-Masri (l'egiziano) eliminato in un raid USA il 31 ottobre del 2008. Se Abu Bakr Naji e Mohammad Hasan Khalil al-Hakim fossero la stessa persona, all’autore bisognerebbe accreditare anche il testo strategico Myth of Delusion del 2006 ed il saggio Towards A New Strategy in Resisting the Occupier. Management of Savagery consta di 268 pagine divise in cinque argomenti. E' un lungo e complesso testo retorico che richiede uno studio accurato. L’opera presenta una strategia per creare/ sfruttare il caos o la ferocia dei regimi politici per formare succursali (isole del disordine) di al Qaeda. I jihadisti avrebbero dovuto garantire sicurezza e servizi di base alla popolazione locale delle isole. Le isole sarebbero state il trampolino di lancio per l'espansione nelle terre confinanti (divisi in paesi primari e secondari) ed il progressivo consolidamento di uno stato islamico. I paesi primari sono quelli con regimi di governo deboli, scarso patriottismo, armi disponibili. Gli stati primari servono principalmente come basi logistiche. Idealmente, il successo nell'istituire il dominio jihadista nelle posizioni primarie consente l'espansione nei paesi secondari. Le isole si sarebbero poi unite per proclamare un califfato mondiale innescato dal crollo della monarchia saudita. Al Qaeda, infine, avrebbe assunto il controllo della capitale religiosa del mondo islamico.

Abu Bakr Naji, teorico della strategia Gestione delle barbarie, chiede di continuare la lotta jihadista contro l'Occidente, mentre predica pazienza per la creazione di un nuovo califfato. Si tratta di una strategia di diramazione in risposta alla riconosciuta incapacità del gruppo di operare oltrefrontiera. Così come bin Laden, Naji sostiene l'uso del terrorismo come mezzo per spingere gli Stati Uniti a spargere le sue forze ed esaurire la sua economia. Tuttavia Naji crede nel sostegno popolare ai jihadisti, ignorando il rifiuto da parte dei musulmani di sposare l'interpretazione radicale jihadista dell'Islam. Come i principali pensatori jihadisti, infine, Naji sottovaluta le capacità degli Stati Uniti. La strategia della Gestione delle barbarie fallisce poiché le isole di al Qaeda tendevano a concentrarsi sulle loro arene locali a svantaggio della visione della leadership (la lotta contro gli Stati Uniti). La segmentazione ha anche diminuito la composizione multinazionale del gruppo in quanto l'appartenenza a livello di filiale si basava principalmente sulle forze locali.

The Jurisprudence of Blood o Fiqh al-Dima è la bibbia dello Stati islamico. 579 pagine scritte da Abu Abdullah al-Muhajir, veterano della guerra in Afghanistan. L'uomo dovrebbe essere ancora vivo. Parliamo di un soggetto le cui opere hanno plasmato il pensiero del moderno terrorismo islamico. Fiqh al-Dima espone un subdolo quadro teorico, legale e religioso per giustificare qualsiasi tipo di azione. Alcuni titoli dei 20 capitoli sono: "Decapitazione e mutilazione", "Non esiste la resa", "Rapimento degli infedeli in guerra", "Come uccidere le spie", "Uccisione indiscriminata di infedeli in guerra", "L'utilizzo delle armi di distruzione di massa". Il testo è in qualche modo basato sulle letture tradizionali, ma reinterpreta in modo distorto la teologia islamica. Questi testi sono essenziali per creare posizioni non negoziabili nei jihadisti.

La nuova strategia del suicidio

Abu Abdullah al-Muhajir offre una soluzione teologica che permette a chiunque lo desideri di eludere le ingiunzioni coraniche contro il suicidio. La sua posizione si riduce allo scopo ed all'intento dell'attacco.

“Il suicidio con l'intento di porre fine al dolore personale è vietato perché implica che la persona in questione sia intenzionalmente ignorante della misericordia di Dio. Tuttavia, se l'intento è quello di sostenere la religione, lo stesso atto diventa qualcosa di onorevole”. Molti teorici prima di lui hanno affrontato la liceità di un attacco suicida, ma Muhajir espande il concetto, abbattendo i precedenti limiti teologici. L’attentatore suicida non deve essere considerato come l’ultima risorsa in caso di guerra. L’attacco suicida non deve necessariamente determinare un beneficio per la comunità musulmana o essere concepito esclusivamente per alterare le sorti di un conflitto. Chi vuole morire per la giusta causa, sarà libero di farlo”.

Ecco creata la flessibilità ideologica e teologica necessaria per attivare i martiri utilizzata dallo Stato islamico e da al Qaeda. Le opere di Abu Abdullah al-Muhajir continueranno a plasmare la traiettoria del militarismo salafista per gli anni a venire

Al Qaeda in Iraq: la nobile sorella

Nel giugno del 2005, in un messaggio audio di 97 minuti, Abu Mus'ab al-Zarqawi, leader di al Qaeda in Iraq, spiega il ruolo delle donne nella jihad. Will the Weath the Religion Wane While I Live rappresenta la prima moderna reinterpretazione teologica per l’impiego delle donne in combattimento.

“La donna mujahidat è colei che alleva il proprio figlio non per vivere, ma per combattere e morire affinché possa essere libero. Che nobile missione, che eroismo supremo”. Il 28 settembre del 2005, tre mesi dopo il messaggio di al-Zarqawi, al Qaeda in Iraq rivendica il primo coinvolgimento di una donna in una missione suicida nei pressi della base statunitense di Tal Afar. La donna è definita da Abu Maysarah al-'Iraqi, all’epoca portavoce di AQI, come una nobile sorella. L’impiego delle mujahidat nelle operazioni suicide di AQI raggiunge il picco nel 2008 prima di scemare del tutto, probabilmente a causa del graduale ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq.

Stato islamico: da custode della casa a guerriera sacra

A differenza del suo predecessore al Qaeda in Iraq, lo Stato islamico ha fin da subito contrastato qualsiasi impiego della donna nella jihad offensiva. Nel periodo di massima espansione, l’attenzione del califfato per le donne era per lo più concentrata sulle spose jihadiste, coloro che abbandonavano la loro patria natia e migravano (muhajirat) per raggiungere la Siria e l’Iraq. Ne il Trattato di Khansa, pubblicato sulla rete nel gennaio del 2015, l’autore elargisci consigli sul ruolo delle donne nello Stato islamico. La donna de il Manifesto di Khansa è relegata al ruolo di moglie, madre ed educatrice della futura generazione jihadista.

“Soltanto in alcune eccezionali circostanze la donna può abbandonare la propria abitazione poiché la sua funzione fondamentale è al servizio della sua dimora, di suo marito e dei suoi figli. Alla donna è vietato prendere parte alla jihad. Tuttavia se il nemico attaccasse il suo paese, se gli uomini fossero numericamente inferiori e se gli imam concedessero una fatwa così come avvenuto per le nobili e benedette sorelle dell’Iraq e della Cecenia, allora potranno combattere”.

Il Manifesto di Khansa è stato diffuso nel momento di massima espansione del califfato. La posizione della donna combattente è nuovamente affrontata nel Trattato di Zawra, documento propagandistico diffuso sulla rete nell’agosto del 2015. Nel documento Consigli preziosi e analisi importanti sulle regole per la partecipazione delle donne alla Jihad, sono esposte le quattro circostante eccezionali per le quali una donna può combattere.

"Consigli preziosi e analisi importanti sulle regole per la partecipazione delle donne alla Jihad"

“Le operazioni di martirio sono permesse esclusivamente a difesa del bene supremo. Se un kuffar fa irruzione nella sua casa, entra in un ospedale o attacca un luogo pubblico, la donna può fare ricorso alla cintura esplosiva (se la possiede). Se il nemico è distante la donna può anche utilizzare un fucile da cecchino. Il permesso alle donne di prendere parte alle operazioni di martirio deve essere concesso dall’imam. Tuttavia queste sono circostanze eccezionali. La donna può ricevere un addestramento militare per autodifesa, ma dovrebbe concentrare i suoi pensieri e le sue energie per allattare, cucinare e cucire”. Posizioni ribadite anche in tutte le produzione dello Stato islamico come Dabiq, Rumiyah e al-Naba con editoriali che sottolineavano il ruolo delle donne all’interno delle loro case per un’esistenza sedentaria e solitaria. Le donne erano necessarie al progetto dello Stato islamico per istruire la futura prole jihadista (“mettere al mondo figli fino a quando il tuo corpo lo avrebbe consentito”).

Il ruolo della donna nello Stato islamico: ie differenze con al Qaeda

Negli ultimi numeri della defunta Rumiyah, gli autori dedicarono ampio spazio alle donne. Nell’approfondimento La donna, pastore nella casa dell’uomo e responsabile del suo gregge contenuto nel nono numero di Rumiyah, gli autori ricordano la benedizione ricevuta nel vivere e crescere nello Stato islamico. Il titolo tradisce il reale contenuto. Si colloca nella narrativa apocalittica.

“Ogni donna a cui Allah ha concesso la benedizione di nascere nello Stato islamico, dovrebbe trarre vantaggio da questa grazia eccezionale, non concessa a molte altre. Le donne dovranno impegnarsi nel crescere i propri figli nel modo a cui piace al loro Signore ed a beneficio della Nazione islamica. La prima cosa che la donna musulmana dovrà insegnare ai propri figli è la frase della testimonianza suprema: Non c'è dio al di fuori di Allah, Muhammad è il Messaggero di Allah. Subito dopo dovrà insegnare al bimbo i tre principi: Chi è il tuo Signore? Qual è la tua religione? Chi è il tuo Profeta?. Sono domande che dovranno stabilire la creazione dei suoni puri (non blasfemi) per il bambino, schiavo di Allah. Il Creatore dovrà essere temuto, mentre il bimbo dovrà capire che sarà sempre osservato. Prima di dormire, dovrà dire:Allah mi è testimone, Allah mi vede, Allah è con me. La grazia più grande che una donna possa ricevere, è quella di avere figli da crescere con un marito mujahide. Cresceranno abituati a vedere armi ed attrezzature”.

Il significato di tale testo andrebbe profondamente interpretato poiché non va tradotto in senso letterale.

“Fucili d’assalto e di precisione. Indumenti tattici, proiettili, granate e cinture esplosive. Sono disponibili diversi video che spiegano con sequenze semplici il loro letale utilizzo. Il cucciolo di Leone, per l’amore della Jihad e con l’affetto del mujahidin, coltiverà l’odio verso i nemici. A chi critica le donne di aver distrutto l’infanzia e l’innocenza dei propri figli, rispondiamo che è l’onore più grande è quello di lottare davanti ad Allah”.

Il leone è diventato un motivo chiave nella propaganda jihadista come simbolo di onore o per designare un martire, alla stregua dei messaggi in presenza di uccelli verdi. Il leone è una figura importante per l'arte e la cultura islamica. Evoca doti di coraggio, forza e valore. Secondo la tradizione islamica, la frase “il leone giacerà con l'agnello” è utilizzata per descrivere la pace escatologica che sarà costituita sotto un sovrano giusto e degno nel giorno del giudizio.

La donna, pastore nella casa dell’uomo e responsabile del suo gregge pubblicato su Rumiyah, ricorda quello delle fiabe. Da rilevare che i racconti fanno parte dell’educazione fin da quando il narratore delle comunità tribali raccontava la sera le gesta degli eroi del passato con riferimenti al Corano. E’ una precisa tecnica per un target specifico.

Toni forti nell’approfondimento Siate un sopporto non un ramo secco del decimo numero di Rumiyah, si analizzano le paure ed i timori di coloro che tradiscono la causa e offendono Dio. E’ un monito al nucleo familiare e di riflesso all’intero collegio musulmano. Nessuno può abbandonare la strada rivelata ed imposta da Dio.

“In guerra le tribolazioni e le difficoltà abbondano. Le preoccupazioni aumentano ed attanagliano i cuori. Alcuni non perdono la Strada grazie ad Allah attraverso i loro iman, mentre altri periscono smarrendo la via. Tornano indietro, rinnegano la propria religione e tradiscono i fratelli. Invece di portare la sconfitta nei cuori dei nemici, la diffondono nel collegio musulmano. Essi spaventano i musulmani e li invitano a non combattere. E’ una pratica diffusa tra i deboli: iman, uomini e donne. La fine per questi uomini è già stata discussa, mentre le donne saranno colpite da calamità perché infettano con la loro lingua le loro case, il proprio marito ed i bambini. Le notizie false provocano confusioni e disorientano. Quanti diffondono le voci che indeboliscono i cuori, dovranno chiedere perdono ad Allah, ammettendo la propria colpa. Se cercate aiuto, lo troverete. Se sarete puniti è allora questo ciò Allah ha disposto. La donna musulmana non deve vacillare, ma essere sentinella e baluardo contro le falsità. Niente dovrà far vacillare il sostegno ad Allah, non importa quanto possano essere i suoi nemici”.

Nell’approfondimento Il viaggio nel sentiero spinoso contenuto nell'undicesimo numero di Rumiyah, si ribadisce che la scelta della jihad è un percorso di fede senza compromessi, nell’osservanza degli obblighi rituali di natura giuridica e politica e delle prescrizioni che regolano la conduzione della guerra santa. E’ dedicato alle sorelle che hanno avuto la fortuna di vivere nello Stato islamico.

“È giunto il momento di distinguere e separare le verità dalle bugie, i giusti dai malvagi, i credenti dagli ipocriti. Separare coloro che sono fermi nella loro fede da quanti perdono la speranza e si disperano. Quanti rimarranno giusti nella via testimonieranno la vittoria finale. Invito le nostre sorelle che hanno ricevuto la grazia di vivere nello Stato islamico di essere paziente e continuare a credere. Lungo il nostro viaggio dovremo affrontare e superare prove e difficoltà. Il sentiero di spine che stiamo solcando non è la fine, ma solo l’inizio che ci porterà alla vittoria finale. Siamo pronti a soffrire? Le nostre anime sono pronte al sacrificio supremo per il bene supremo? Saremo saldi in questo percorso di fede? Non esiste sentiero di spine che non può essere percorso, nè tragitto migliore per dimostrare la nostra fedeltà. Mie amate sorelle, i vostri ruoli e le vostre responsabilità non sono finite, ma aumentate. E’ giunto il momento di risvegliarci dal sonno di inosservanza e dirigerci i nostri reali obiettivi”.

Il dovere per le donne di intraprendere operazioni di martirio contro l’Occidente

Le esigenze contestuali e la perdita dei territori hanno richiesto una nuova postura ideologica e teologica, con prima ricalibrazione effettuata nel dicembre del 2016 con l'editoriale I Will Die While Islam is Glorious pubblicato sulla defunta rivista Rumiyah. Nel luglio del 2017, lo Stato islamico suggerisce su Rumiya la possibile posizione ambivalente delle donne nella jihad. Lo Stato islamico ha già modificato la sua ideologia principale. Quello che fino a poco tempo era un dogma non negoziabile, è stato rivisto in base alle necessità contestuali. Nell'attuale evoluzione dello Stato islamico (da organizzazione centralizzata a rete terroristica clandestina), spiegata da Abu Bakr al-Baghdadi nel messaggio Give Glad Tidings to the Patient, il ruolo attivo delle donne nella jihad è teologicamente ed ideologicamente giustificato.

In base a tale reinterpretazione, le donne fedeli allo Stato islamico (concetto del califfato nel cuore) hanno il dovere di intraprendere operazioni di martirio contro l’Occidente.

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