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Super Tuesday, vincono Trump e Clinton. Ma Cruz e Sanders non demordono

I due candidati più forti del Super Tuesday sono, come da previsioni, Hillary Clinton e Donald Trump, rispettivamente con otto e sette Stati. Ma Cruz e Sanders restano in corsa, con tre e quattro successi. Flop di Marco Rubio

Super Tuesday, vincono Trump e Clinton. Ma Cruz e Sanders non demordono

Il Super Martedì ha emesso il suo responso: sono Donald Trump e Hillary Clinton i candidati più forti. Saranno loro, con tutta probabilità, a sfidarsi il prossimo 8 novembre per la Casa Bianca. Sul fronte repubblicano Trump porta a casa sette Stati, contro i tre di Cruz e uno di Rubio. Sono sette i successi conseguiti dalla Clinton in campo democratico, seguita da Sanders con quattro. Nessuna grossa sorpresa, dunque, anche se il risultato dell'ex first lady è molto meno rotondo del previsto: il senatore ultraliberal vince nel suo Vermont (86%), ma anche in Oklahoma (52%), Minnesota (59%) e Colorado (58%). Testa a testa in Massachusetts, ma alla fine la spunta Hillary. Sanders resta in corsa e continua a sognare di poter scalzare la sua potente rivale: "Questa campagna - insiste riesumando l'obamiano yes we can - è per cambiare l'America".

Molto più netto il successo di Trump, che porta a casa Alabama (44%), Arkansas (34%), Georgia (39%), Massachusetts (49%), Tennessee (40%), Vermont (33%) e Virginia (35%). Ted Cruz la spunta nel suo Texas (43% contro il 23% di Trump), in Oklahoma (34%) e in Alaska (36%), ritagliandosi il ruolo di anti-Trump: "Sono l'unico che può batterlo". Finisce a mani vuote la serata di Marco Rubio, sui cui l'establishment repubblicano puntava le sue carte: ha vinto solo nel Minnesota (37%) ed ora si gioca tutto il prossimo 15 marzo nella sua Florida. Dove i sondaggi, però, lo danno dietro a Trump. Per quasi tutti i commentatori la corsa di Rubio ormai è alla fine.

In totale negli stati del Super Tuesday erano in palio 595 delegati per i repubblicani, quasi la metà dei 1.237 necessari per la nomination. Trump guida la corsa con 316 delegati, seguito da Cruz (226) e Rubio (106). Nel campo democratico erano in palio 865 delegati, più di un terzo del "numero magico" di 2.383: Clinton è in testa con 544, seguita da Sanders con 349.

"Questo Paese appartiene a tutti noi, non solo a chi guarda in una direzione, prega in una direzione o pensa in una direzione", ha detto Hillary Clinton parlando nel suo quartier generale di Miami. Ormai pensa solo a lui, Donald Trump, che le risponde da Palm Beach, sempre in Florida: "Quello che ha fatto Hillary è un atto criminale", dice riferendosi allo scandalo delle email gestire da un server privato. Tutti ormai sono in Florida, dove sarà battaglia campale. Fra due settimane nel "Sunshine State" si giocherà una partita decisiva, visto che è proprio lì, come in altri Stati-chiave, che si assegneranno molti delegati con la regola del "winners-takes-all", chi prende più voti porta a casa tutto il bottino.

"Mi dispiace per Rubio - ironizza Donald Trump - per lui è stata una serata molto dura. E ha speso anche un sacco di soldi...". Trump si vendica così dopo gli ultimi durissimi attacchi ricevuti dal giovane senatore, che cercava in ogni modo di rimontare. Ma ormai sembra troppo tardi, Trump è sempre più forte e non sbaglia un colpo. Anche se lui smorza i toni e, provando a cambiare registro, si definisce un "conservatore di buon senso". Poi, però, rilancia subito una delle sue promesse: il muro con il Messico sarà realizzato, e butta lì anche un paragone di quelli tosti: "Come la Muraglia cinese".

La sfida dell'8 novembre è già iniziata. Salvo clamorose sorprese saranno Donald e Hillary i due sfidanti per la Casa Bianca. I due già si lanciano durissime frecciate (guarda i video). "Invece di costruire muri, noi abbatteremo barriere", dice la Clinton da Miami, attaccando Trump e il suo progetto di costruire una barriera sul confine tra Stati Uniti e Messico. "Questa notte è chiaro che la posta in gioco in queste elezioni è altissima, cercare di dividere l'America tra noi e "loro" è sbagliato, e noi non lo permetteremo". L'ex segretaria di Stato stronca lo slogan dall'avversario repubblicano, il far tornare grande l'America (Make America great again), difendendo l'operato di Obama. "Sappiamo che abbiamo del lavoro da fare, ma non si tratta di rendere l'America di nuovo grande, perché non ha mai smesso di esserlo, dobbiamo rendere l'America unita, dobbiamo riempire le fratture che sono state create". Trump replica a muso duro: "Ho sentito il suo discorso, parla di salari bassi e di tutto quello che va male, ma lei c'era e c'è stata a lungo (al governo) e non è riuscita a cambiare nulla". Sottinteso: sono io il vero cambiamento, lei no. E, dopo aver ribadito che il muro con il Messico si farà (cita l'esempio della Muraglia cinese), manda un segnale all'establishment del suo partito: "Ho allargato il partito repubblicano attraendo gli elettori indipendenti e quelli democratici che hanno scelto di votare per me.

Diventeremo un partito migliore, saremo un partito unito, molto più grande, il nostro partito si sta espandendo".

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