Gerusalemme - Dopo un incontro di Gabinetto che è proseguito fino a tarda notte, Israele ha deciso che la proposta di Kerry di cessate il fuoco non può essere accettata così com'è e che vuole proseguire nella discussione col Segretario di Stato americano. Anche Hamas ha preso, grosso modo, la medesima posizione. Alla fine Netanyahu ha accettato una pausa di 12 ore, dalle 7 di oggi. L'elemento che non convince Israele, sembra, è l'insieme delle condizioni dei sette giorni di interruzione delle ostilità richieste da Kerry in cui Israele esige di seguitare a distruggere le gallerie che consentono a Hamas di penetrare in Israele per portare attentati terroristi. Il Gabinetto, si direbbe, ritiene che non ci siano abbastanza garanzie di poter seguitare in quella che ritiene la sua missione essenziale: 30 gallerie su 40 basilari per la sicurezza sono state fatte saltare, e Israele intende condurre a termine l'operazione pur consentendo in linea di principio a una tregua umanitaria. Il Gabinetto non ha tuttavia comunicato la sua decisione ufficialmente, perché spera di concordare in queste ore con Kerry delle modifiche che gli consentano di accettare la proposta. Anche Hamas da parte sua ha seguitato a sparare missili proprio nelle ore del dibattito, e chiede condizioni di garanzia per mantenere il controllo e anche l'apertura della Striscia. Un no definitivo sarebbe un'ennesima sconfitta diplomatica per gli Stati Uniti, ma anche Kerry intende continuare la discussione e ha parlato, per il momento, di una tregua di 12 ore, immediata, che sembrerebbe essere invece stata accettata. Una situazione molto drammatica, e oggi, sabato, la discussione è destinata a proseguire. Sisi dal Cairo ha chiesto alle parti di ripensare le loro posizioni e a accettare le condizioni di Kerry, che ha insistito sul fatto che i colloqui sono « in progress » e devono ancora portare a conclusione che ritiene saranno presto positive e ha denunciato la tragedia dei lutti e della violenza, insistendo sulla prosecuzione dei termini della tregua.
Ieri sul gabinetto del Primo Ministro si è abbattuto un nuovo immenso nuovo problema: l'West Bank, dominio del Fatah di Abu Mazen, sta prendendo fuoco. Nel corso di scontri che hanno coinvolto decine di migliaia di palestinesi da giovedì sera al check point di Khalandia, molti col volto coperto, si sono contati una quantità di inusitati, inaspettati scontri a fuoco, che hanno fatto cinque morti fra i dimostranti, e decine di feriti fra i poliziotti. Anche la polizia di Abu Mazen si è scontrata coi dimostranti. Ieri, ultimo venerdì di Ramadan, a Gerusalemme stipata di forze di sicurezza, gli scontri sono stati contenuti, ma in numerose località dell'WEst Bank, da Beit Humar, vicino a Hevron, a Hawara, un check point a Nablus, molte marce, lanci di pietre, bottiglie molotov hanno incendiato la pizza fino a causare tre morti palestinesi nella giornata di ieri. Le notizie incendiarie da Gaza, i morti della scuola dell'Unrwa, creano un sentimento di rabbia e di rivincita. Non è secondario il fatto che Abu Mazen negli ultimi giorni abbia cambiato tono, dal sostenere la proposta di Sisi per un cessate il fuoco senza condizioni è passato (forse alla ricerca di un consenso che gli dia autorità nel futuro della Striscia) a presentarsi come il rappresentante dei sentimenti e degli interessi di Hamas. Abu Mazen martedì ha tenuto un discorso militante, in cui ha detto di essere stufo della comunità internazionale e delle sue vuote promesse, e che il popolo palestinese deve contare solo su stesso.
Le manifestazioni armate di giovedì sono state rivendicate dalle Brigate di Al Aqsa, che al tempo di Arafat hanno gestito per Fatah l'Intifada dei terroristi suicidi. I capi storici di Fatah, dopo una riunione della segreteria, da Sa'eb Erakat a Yasser Abed Rabbo hanno espresso il loro supporto per le richieste di Hamas.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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