La terrorista che organizza la marcia delle donne contro Trump

Le femministe anti-Trump organizzano una nuova contestazione in tutti gli Stati Uniti contro Donald Trump. Tra le organizzatrici c'è anche la terrorista palestinese Rasmea Yousef Odeh

La terrorista che organizza la marcia delle donne contro Trump

Le manifestazioni di protesta contro il presidente Donald Trump e la sua amministrazione non si fermano. In particolare, sono le femministe statunitensi ad aver organizzato un'altra “Women's March” dopo quella dello scorso 21 gennaio: la prossima contestazione anti-Trump si svolgerà, infatti, il prossimo 8 marzo a Washington D.C e in tutte le città degli Stati uniti in occasione della Giornata internazionale della donna. Peccato che, come rileva il New York Post, Rasmea Yousef Odeh, una delle principali promotrici della marcia contro il tycoon, sia una terrorista convinta. Odeh, di origine palestinese, è stata condannata in Israele nel 1970 per aver preso parte a due attentati terroristici, uno di quali ha ucciso due studenti mentre erano in un negozio di generi alimentari. Ha passato 10 anni in prigione per i suoi crimini. Mentendo sul suo passato, è riuscita a diventare cittadina degli Stati Uniti nel 2004 ma è stata condannata nel 2014 per frode migratoria. Ora è in attesa di un nuovo processo, fissato in primavera.

Angela Davis, un'altra delle organizzatrici della marcia, è una professoressa stalinista e sostenitrice di lunga data delle Pantere Nere. Davis è conosciuta per essere stata assolta nel 1972 dopo una sparatoria al di fuori di un tribunale che ha provocato la morte di un giudice. Nondimeno interessante il profilo di Tithi Bhattacharya, che ha più volte elogiato il maoismo in un saggio pubblicato per l'Internazionale Socialista, sostenendo che “i maoisti sono tornati e si battono contro tutte le persone di destra”. Lo sciopero internazionale della donna è destinato a raccogliere milioni di adesioni, con il sito womensmarch.com pronto a fornire ulteriori delucidazioni nei prossimi giorni su come partecipare alla protesta locale più vicina. Le donne in tutto il Paese sono invitate a non andare al lavoro e a partecipare alla mobilitazione.

L'obiettivo di femministe e progressiste stavolta è diverso, ed è quello di organizzare uno “sciopero generale” al fine di promuovere “una nuova ondata di lotta femminismo militante”. Gli intenti, come illustrano le stesse organizzatrici in una sorta di manifesto pubblicato sul Guardian lo scorso 6 febbraio, sono tutt'altro che pacifici: “L'idea - scrivono Linda Martín Alcoff, Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya, Nancy Fraser, Barbara Ransby, Keeanga-Yamahtta Taylor, Rasmea Yousef Odeh, Angela Davis - è quella di mobilitare le donne, comprese le donne trans, e tutti coloro che le sostengono in una giornata internazionale di lotta - una giornata sorprendente, in marcia, bloccando strade, ponti, e le piazze, boicottando gli affari domestici, la cura di noi stesse, il lavoro e il sesso, protestando contro i politici e le società misogine. Queste azioni hanno lo scopo di rendere visibili i bisogni e le nostre aspirazioni”. Non più una contestazione pacifica, dunque, ma un ritorno alla lotta militante anni'70.

Come rileva Kyle Smith sul New York Post, “l'attivistmo anti-Trump sembra avere poco a che fare con la politica necessaria per vincere le elezioni - trovare un terreno comune, stringere alleanze. Queste manifestazioni, al contrario, hanno solamente lo scopo di denunciare i nemici ed esprimere la propria rabbia.

Una mentalità che porta ad atti distruttivi e criminali come interrompere il traffico in città come New York (dove Trump ha ottenuto il 18% dei voti) o San Francisco (9%). Se volete persuadere la working class del Wisconsin ad unirvi alla vostra causa, questo è il modo sbagliato di farlo”.

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