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La Turchia andrà a elezioni anticipate sotto stato d'emergenza

Dopo avere a lungo respinto l'ipotesi, Erdogan manda il Paese alle urne a giugno

Il presidente turco Erdogan in parlamento con il premier Yildirim
Il presidente turco Erdogan in parlamento con il premier Yildirim

Saranno dunque elezioni anticipate in Turchia, dove il presidente Erdogan ha oggi annunciato ufficialmente che il Paese tornerà al voto il prossimo 24 giugno, ancora prima di quanto proposto ieri da Devlet Bahceli, l'alleato leader del partito ultra-nazionalista (Mhp).

La decisione presa oggi ad Ankara porta avanti di più di un anno il conto alla rovescia verso il voto, inizialmente previsto per il 3 novembre del prossimo anno. Arriva in controtendenza con le dichiarazioni dello stesso Erdogan, che a lungo ha respinto le voci come prive di fondamento.

Le prossime elezioni presidenziali completeranno per la Turchia una transizione iniziata con il referendum dello scorso anno, che Erdogan ha vinto di misura e tra accuse di brogli da parte delle opposizioni: vedranno l'abolizione della carica di primo ministro e l'assegnazione al capo di Stato di poteri molto più ampi e privi di grandi contrappesi.

Appena dopo l'annuncio della data delle elezioni il parlamento di Ankara ha esteso per la settima volta lo stato d'emergenza in vigore dal fallito tentativo di colpo di Stato del luglio 2016 e con esso le restrizioni che impone alla vita pubblica. A raccontare il clima in cui la Turchia si avvia verso il voto bastano le cronache degli ultimi due anni.

Per molti analisti non è però la politica, ma l'economia - tema che preoccupa molti elettori - la spia a cui guardare per capire il perché della decisione presa ad Ankara. Nonostante dati di crescita positivi, alcuni capitoli come quello dell'inflazione o una moneta in caduta libera non generano sicurezza.

"Eleggere il presidente il 26 agosto è la via più razionale e ragionevole per andare avanti", aveva detto ieri Bahceli. Ma è ancora più vicina la data confermata oggi da Erdogan, che citando le operazioni militari in corso in Siria, dove la Turchia è intervenuta contro le milizie curde presenti nel nord, ha detto che "è necessario che si superino le incertezze quanto prima".

La decisione di andare al voto a giugno potrebbe già portare ad alcune conseguenze pratiche. La prima sarebbe quella di mettere fuorigioco il nuovo Iyi parti di Meral Aksener per via delle norme previste dalla legge elettorale, secondo cui non potrebbe presentarsi perché non ha tenuto un congresso almeno sei mesi prima della data del voto. Un punto su cui tuttavia non c'è ancora chiarezza: la questione è molto tecnica e il partito sostiene di avere le carte in regola.

Nato da una scissione interna al campo ultra-nazionalista, il Partito buono ha cercato fin da subito di presentarsi come una forza meno estremista, per provare a intercettare il maggior numero di voti possibili. Per la Aksener, che a 40 anni fu la prima donna a diventare ministro dell'Interno in Turchia, potrebbe comunque profilarsi la possibilità di una candidatura da indipendente.

Il Chp repubblicano, che al momento è il principale partito d'opposizione, ha commentato dopo l'annuncio di essere "pronto come se il voto dovesse tenersi domani". Nell'ultimo periodo era emersa l'ipotesi di una coalizione con il partito della Aksener.

Tra i partiti che si erano presentati alle ultime elezioni uno in particolare, il filo-curdo Hdp (sopra il 10% alle ultime elezioni generali), ha subito gli effetti della repressione del dissenso. Nonostante il co-presidente Sezai Temelli ostentasse ieri sicurezza, dicendo che Erdogan e Bahceli sono pronti "per finire nella spazzatura della storia", la coppia di politici che hanno preceduto lui e la collega Pervin Buldan alla guida del partito sono a oggi ancora in carcere con pesanti accuse di terrorismo. Le stesse che hanno portato in prigione e fuori dal parlamento altri loro colleghi.

Se da un lato è in atto da tempo una forte repressione del dissenso - e non aiuta che buona parte della stampa sia schierata su posizioni filo-governative - dall'altro il Paese è fortemente polarizzato. E se per un campo politico l'attuale presidente è la causa di ogni male, l'altro la vede in modo diametralmente opposto.

Al netto di tutte le variabili, la possibilità che Erdogan non esca vincitore dalle elezioni è quantomeno remota.

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