San Paolo «Il Venezuela è in default», ovvero «in fallimento» perché «incapace di pagare le cedole di due bond, uno sul suo debito sovrano e l'altro sulla statale petrolifera Pdvsa la cui ultima scadenza era l'altroieri. Ciò nonostante per ora non vedo nessuna ripercussione sul resto del mercato e questo è importante». La rassicurazione a Il Giornale arriva da Wall Street dove una fonte altolocata che si occupa di America Latina ci informava ieri che i due bond di cui sopra erano «scambiati a 25 centesimi su 100, ovvero a prezzo di default». Mancava solo l'ufficialità dell'Isda - l'associazione internazionale preposta ad ufficializzare il fallimento di uno stato - anche perché per tutte le principali agenzie di rating il default di Caracas era ormai scontato quando, come un fulmine a ciel sereno, è arrivato l'annuncio del ministro chavista dell'Informazione, Jorge Rodríguez: «Giovedì abbiamo iniziato i pagamenti degli interessi sul debito sovrano che erano in scadenza». Sarà vero?
«Si tratta di accanimento terapeutico», spiega con una battuta la nostra fonte, facendo intendere che non è dato sapere la provenienza dei soldi né se sia credibile che il regime di Nicolás Maduro abbia detto la verità visto che i 200 milioni di dollari dovuti per ora i creditori non li hanno visti e, tra gli altri, Brasile e Uruguay hanno reclamato presso il Club di Parigi per questo default che ora si tinge di giallo. Ma al di là delle polemiche per molti analisti quello di Maduro altro non è che il maggior progetto di riciclaggio di denaro della storia - è chiaro che il baratro finanziario venezuelano si è spalancato, andandosi ad affiancare alla tragedia umanitaria abbattutasi già da tempo su una nazione stremata dove, a detta di Caritas, vivono 300mila bambini che rischiano di morire di fame.
Con queste premesse è improbabile che il fallimento di Caracas (il quando dipende dai miliardi di dollari che daranno la Russia, meglio disposta, e la Cina, invece restia a buttare via altre risorse nel calderone chavista) cambi di molto le condizioni di vita già drammatiche dei circa 30 milioni di venezuelani. Sempre più sovente costretti a mangiare solo una volta al giorno e con un salario medio che, se calcolato al cambio reale, si aggira attorno agli 8 euro al mese, somma con cui si possono comprare una trentina di yogurt oggi a Caracas. Con un'inflazione che già ha sfondato il 1300% all'anno, il default venezuelano è completamente differente, ad esempio, da quello argentino di fine 2001, quando dall'oggi al domani la moneta a Buenos Aires si svalutò del 75%. In Venezuela grazie al «bolivar forte» l'ironia della terminologia economica chavista fa tragicamente ridere e alle folli politiche di espansione monetaria e deficit spending di Maduro, la moneta a Caracas già non vale più nulla da molto tempo e per acquistare un telefonino made in China ci voleva una carriola di banconote. Dopo il confuso proclama di Maduro, che lo scorso 2 novembre aveva annunciato come «necessaria la rinegoziazione ed il rifinanziamento del debito» per la cronaca sono due cose completamente differenti anche le pietre a Wall Street sanno che il fallimento finanziario di Caracas è solo questione di tempo.
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