Coronavirus

Il virus della disunione europea

Il virus della disunione europea

C’era un tempo in cui i “democratici” burocrati europei pontificavano contro la chiusura dei confini. Al loro fianco, in una instancabile battaglia contro i partiti nazionalisti che con il passare degli anni hanno preso sempre più piede, i leader dei vecchi partiti vicini all’establishment. Quante volte abbiamo sentito Angela Merkel pontificare a favore della libera circolazione? Adesso che ad essere minacciate sono le frontiere tedesche la cancelliera ha deciso di alzare un muro con i Paesi che confinano con la Germania. Tutto blindato finché non sarà passata l’emergenza coronavirus. Non è l’unico capo di Stato in Europa ad aver chiuso i confini ma, insieme all’Austria, è sicuramente quello che ha fatto più rumore.

Ancora una volta l’Unione europea si sta muovendo in ordine sparso. A Bruxelles stanno dando prova della propria inadeguatezza. Ne abbiamo già scritto, proprio qui nel loft, la scorsa settimana. Ma ogni giorno che passa le cancellerie europee sembrano confermare quello che è evidente da un paio di decenni: dinnanzi ad una qualunque emergenza manca del tutto il coordinamento, gli Stati membri non sanno parlare con una voce sola e le misure per far fronte ai problemi sono sempre tardive e inutili. È un copione già visto. Solo che ora ci troviamo a dover sconfiggere una pandemia che ha generato un’emergenza sanitaria senza precedenti e che rischia di degenerare in una crisi economica ben peggiore da quella in cui gli Stati Uniti ci hanno trascinati dodici anni fa.

Il film a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane è stato a dir poco desolante. All’inizio l’Italia è stata isolata come un untore che sparge in giro morte. Le è stata voltata la schiena persino quando il nostro governo ha chiesto aiuto per avere mascherine e respiratori. La Commissione Ue, come suo solito, si è messa a mercanteggiare fino all’ultimo per concedere un po’ più di flessibilità sui conti. Salvo poi chiudere entrambi gli occhi sui conti non appena Berlino ha fatto capire di esser pronta a sfoderare un “bazooka” da 550 miliardi di euro a sostegno delle imprese colpite dal coronavirus. Ma la beffa peggiore sta nel “Corona response fund”, un fondo da 25 miliardi, otto dei quali sono già stati stanziati dall’Europarlamento. A ricevere più soldi del nostro Paese, a cui vanno 853 milioni di euro, troviamo la Spagna (1,16 miliardi), la Polonia (1,12 miliardi) e l’Ungheria (855 milioni). E sì che, stando ai dati di ieri, la Polonia contava 68 contagiati e l’Ungheria appena 25.

Mentre le Borse bruciano capitali, le economie si incartano e l’Unione europea latita, la Banca centrale europea fa di peggio. Il terribile scivolone di Christine Lagarde, alla sua prima prova all’istituto di Francoforte, è costato quasi 800 miliardi di perdite. Per alcuni si è trattato solo di una gaffe, per altri è stata una mossa studiata per sottoporre certi titoli a una sorta di stress test. Difficile, al momento, stabilire la verità. Sta di fatto che la Consob si è subito mossa per proteggere 85 aziende vietandone le vendite allo scoperto e il Copasir ha acceso un faro per capire se ci sono state “eventuali manovre speculative in danno di asset strategici per l’economia e la sicurezza nazionale”.

Per evitare ulteriori inciampi in un momento tanto difficile, l’Eurogruppo ha cambiato all’ultimo minuto l’ordine del giorno: dopo il dilagare delle proteste, la parte relativa alla riforma del Fondo salva Stati è stata declassato nelle “varie ed eventuali” e testo è cambiato da “avallo politico” a “proseguimento del lavoro”, mentre la discussione sulla crisi economica scatenata dal coronavirus è stata avanzata al primo punto. Ma si tratta solo di strategia.

Presto o tardi il Mes verrà approvato e non servirà a salvare gli Stati in difficoltà ma a imbrigliarli ulteriormente.

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