La visita di Kerry in Asia Centrale: gli Usa vogliono tornare protagonisti

Le garanzie statunitensi per la sicurezza nella regione sono state al centro degli incontri tra il segretario di Stato americano e i leader delle repubbliche centrasiatiche. E forse è anche per limitare l’influenza di Mosca in quest’area strategica che Obama non ritirerà le truppe dall’Afghanistan prima del 2017

La visita di Kerry in Asia Centrale: gli Usa vogliono tornare protagonisti

Si avvia oggi alla conclusione il tour centrasiatico del segretario di Stato americano John Kerry, che venerdì scorso aveva lasciato il tavolo dei negoziati sulla crisi siriana a Vienna, per partire alla volta della capitale kirghisa Bishkek e proseguire il suo viaggio di cinque giorni verso le capitali di Uzbekistan, Kazakhstan, Tagikistan e Turkmenistan.

Al centro della lunga serie di incontri intrattenuti con i leader e i vertici diplomatici dei diversi Paesi, c’è stato soprattutto il tema della sicurezza regionale e dell’espansione della minaccia del terrorismo islamico nell'area, con riferimento sia all’Isis, sia all’aumento dell’attività di altri gruppi terroristici, come i Talebani in Afghanistan. All’ordine del giorno dei colloqui con i presidenti di alcuni dei Paesi che fanno parte dell’Unione Eurasiatica di Putin, ci sono state anche le questioni economiche ed energetiche, come pure il tema dei diritti umani e, nel caso specifico del Kazakhstan, quello dell’accesso al seggio non permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu per il biennio 2017-2018. Domenica scorsa, inoltre, al termine della riunione tra Kerry e i ministri degli Esteri di Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan, è stata firmata una dichiarazione congiunta di partnership e cooperazione tra gli Usa e questi cinque Paesi, ed è stata approvata la creazione di un nuovo format per il dialogo diplomatico sui temi di interesse comune, denominato C5+1.

L’obiettivo della visita, insomma, è stato quello di rinforzare i legami economici e di sicurezza tra gli Stati Uniti e questi Paesi, per non lasciar cadere il blocco centrasiatico fra le braccia del Cremlino. Anche per questo, forse, non è un caso che la prima visita di un segretario di Stato americano nelle cinque repubbliche centrasiatiche avvenga in un momento delicato dei rapporti diplomatici fra Usa e Russia, e mentre la diplomazia americana è costretta ad assistere all’affermarsi di Mosca come nuovo ed importante attore nella regione mediorientale. Una regione che, da tempo, era quasi unicamente appannaggio degli Stati Uniti.

La lotta al terrorismo, assume inoltre, in questo contesto, un ruolo centrale. Se Putin infatti, come scrive il Wall Street Journal, ha usato la leva della minaccia dell’Isis in Asia Centrale, per affermarsi come principale difensore di questi Paesi contro il pericolo jihadista, gli Stati Uniti non hanno intenzione di stare a guardare. Così, mentre i caccia russi colpivano le postazioni dell’Isis in Siria, John Kerry, a Bishkek e Samarcanda, chiariva ai leader delle repubbliche centrasiatiche come non ci fosse bisogno “di cadere nel blocco russo per combattere la minaccia condivisa dello Stato Islamico”. Forse è anche per questo motivo che Obama, contravvenendo alle promesse elettorali, ha scelto di prolungare la permanenza delle truppe statunitensi in Afghanistan fino al 2017.

L’interesse degli Usa per la regione centrasiatica e la rivalità con Mosca in questo campo comunque, non sono una novità. In primo luogo infatti, l’Asia Centrale fa parte della “grande scacchiera” teorizzata da Brzezinski, e rappresenta, secondo l’approccio “regionalista” dell’ex Consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, una delle quattro aree eurasiatiche su cui gli Usa devono esercitare la propria influenza, al fine di mantenere una supremazia mondiale. Inoltre questa regione, spiega Dario Citati, direttore del programma di ricerca Eurasia dell’Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie – IsAG, “sin dalla competizione fra gli imperi russo e britannico nel XIX secolo, è stata la principale area di rivalità geostrategica tra Mosca e il mondo anglosassone”. “Nel dopo Guerra Fredda”, continua il ricercatore, “la politica statunitense nella regione è ben sintetizzata dalla posizione di Zbigniew Brzezinski, che per il Caucaso e l’Asia Centrale ha coniato la formula ‘Balcani Eurasiatici’: l’obiettivo degli Usa è infatti quello di essere presenti nella regione giocando, come attore esterno, sulle divisioni fra Paesi anche al fine di impedire la formazione di un blocco unitario”.

Per capire il senso della missione del segretario di Stato Kerry, spiega quindi Citati, “la questione della sicurezza è fondamentale: per i Paesi dell'Asia Centrale, infatti, scegliere fra Stati Uniti e Russia dipende molto spesso da chi viene percepito come il maggior alleato contro il terrorismo”.

Per questo il segretario di Stato americano al termine della sua visita ha rassicurato tutti i partner centrasiatici, e specialmente quelli che potrebbero essere maggiormente soggetti alle infiltrazioni jihadiste dall’Afghanistan, sul fatto che le truppe statunitensi rimarranno a Kabul, e che gli Stati Uniti si impegnano a rimanere un attore chiave per la garanzia della sicurezza nella regione.

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