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"Sentii salire l'acqua". L'illusione ottica, poi giù nel mare vicino Palermo

Il 23 dicembre 1978 il volo Alitalia 4128 Roma-Palermo finisce inesorabilmente in mare in prossimità della pista, causando la morte di 108 delle 129 persone a bordo

"Sentii salire l'acqua". L'illusione ottica, poi giù nel mare vicino Palermo

Mi trovai al buio, poi sentii salire l’acqua… ero incastrato sott’acqua nel relitto”. A parlare è Carlo Pavone, uno dei 21 sopravvissuti al disastro aereo del volo Alitalia 4128 che si inabissò al largo dell’aeroporto Punta Raisi di Palermo. È il 23 dicembre 1978, quando a mezzanotte e trenta circa un McDonnell Douglas Dc-9-32 dell’Alitalia proveniente da Roma sta per atterrare a Palermo con 129 persone a bordo. Ma il velivolo, che è ormai prossimo all’atterraggio, si schianta in mare, a pochi chilometri dall’aeroporto, causando la morte di 108 dei passeggeri a bordo.

L’incidente

L'Alitalia 4128 aveva volato senza problemi per tutta la fase di crociera, nonostante la partenza ritardata a causa dell’intenso traffico aereo dovuto alle feste natalizie alle porte. Ma allora cosa causò l’incidente a volo quasi terminato? Il Dc-9 dell’Alitalia effettuò la prima parte della discesa verso Punta Raisi in volo strumentale. A due miglia dall’aeroporto i piloti passarono a guidare l’aereo manualmente, convinti di essere ormai prossimi all'atterraggio. Ma mentre cercavano di individuare il punto di contatto con la pista, il velivolo perdeva quota e la pista era ancora lontana.

Negli ultimi nove secondi prima dell’incidente il velivolo, che si trovava quasi allo stesso livello del mare, fu colpito da una raffica di vento alla velocità di 280 chilometri all'ora. A quel punto l’aereo colpì il mare con l’ala destra, spezzandosi in due tronconi e affondando nelle acque gelide di fine dicembre. A causa del violento impatto e delle fredde temperature del mare, morirono 108 persone, compresi i 5 membri dell’equipaggio. Alla tragedia scamparono 21 passeggeri, tratti in salvo da alcuni pescherecci che si trovavano nelle vicinanze.

Il fenomeno del “black hole approach”

Le indagini attribuirono la responsabilità a un errore nelle procedure di avvicinamento alla pista d’atterraggio da parte dei piloti. Questi ultimi credettero di trovarsi molto più vicini alla pista di quanto fossero nella realtà. Ma com’è possibile che dei piloti esperti possano aver preso un tale abbaglio?

Secondo gli inquirenti e gli esperti che si occuparono del caso, il comandante e il suo equipaggio furono vittime del fenomeno del “black hole approach”, ossia di un’illusione ottica che si verifica di notte in presenza di nubi a bassa quota o in assenza di luci a terra. Questo fenomeno disorienta i piloti - i quali si convincono di essere vicini alla pista - e li induce ad abbassarsi di quota, causando spesso gravi incidenti. Le luci della pista d'atterraggio del Punta Raisi probabilmente si rifletterono sul mare o nelle nuvole, dando così la falsa percezione ai piloti che la pista fosse un centinaio di metri prima della sua reale posizione.

A causa di diversi disastri aerei, negli anni '60 alcuni ricercatori della Boeing condussero degli studi per capire le cause degli incidenti. Come riporta il sito Skybrary.aero, attraverso dei simulatori di volo, piloti con più di 10.000 ore di volo alle spalle simularono un atterraggio a vista di notte, in assenza di luci. Lo studio rivelò che la maggior parte dei piloti volavano troppo bassi, precipitando a terra prima del tempo, ingannati dall'illusione di trovarsi in prossimità della pista d'atterraggio.

I sopravvissuti

Carlo Pavone, uno dei superstiti che riuscirono a salvarsi dal terribile incidente di 43 anni fa, ha raccontato a Live Sicilia i tremendi istanti in cui realizzò che l’aereo era precipitato in mare e le sue “brutte sensazioni” riguardo al volo, appena salito a bordo."Salire su quell’aereo è stata una sciagura - ha raccontato al quotidiano siciliano il professore - Sì, sono riuscito a salvarmi, ma quella sera avevo intuito subito che c’era qualcosa che non andava. C’era molta tensione a bordo, capii immediatamente che anche l’equipaggio era molto nervoso, probabilmente per i voli extra che furono necessari per via del massiccio traffico aereo pre natalizio”. Era convinto di essere arrivato a casa, il dottor Pavone, quando all’improvviso si trovò sott’acqua.

Ero seduto e aspettavo di atterrare - racconta il medico, professore di Urologia all’Università di Palermo e direttore dell’Unità operativa e della scuola di specializzazione di Urologia - quando improvvisamente ho sentito un urto, sono saltate le luci e mi sono trovato al buio. Poi ho sentito l’acqua che saliva, e sono rimasto sott’acqua incastrato nel relitto”. A quel punto l’istinto di sopravvivenza diventò la più potente delle armi a sua disposizione e il dottore iniziò a nuotare, facendosi largo tra le vittime che galleggiavano intorno a lui. Ormai intirizzito dal freddo raggiunse il peschereccio Nuovo Pacifico, che soccorse altre 14 vittime dell’incidente di Palermo, uno dei più gravi nella storia dell’aviazione civile italiana.

Gli altri sei superstiti scampati alla tragedia del volo 4128 vennero salvati dal peschereccio Santa Rita.

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