Claude Monet è il primo impressionista, linventore di quel famoso quadro Impression, soleil levant che, esposto nel 1874 nello studio del fotografo parigino Nadar, aveva suscitato lilarità dei critici. Louis Leroy laveva trovato più brutto di una carta da parati. Da quel momento Monet e compagni erano diventati gli impressionisti. Il fatto è che il giovane Claude non solo dipingeva la natura, ma vi si immergeva dentro. Catturava i raggi di sole, lo scintillio dellacqua, il tremolio del vento e poi ecco, veloce, li immortalava con tocchi vibranti sulla tela. Si faceva accompagnare sulle rive della Senna, nei boschi, nelle periferie parigine, e più tardi sulle coste bretoni, con fasci di tele, per riprendere minuto dopo minuto tutte le variazioni del giorno e della notte.
Non era stato il primo a voler ritornare a una pittura naturalistica, en plein air. Lo avevano già fatto Corot, Courbet, Daubigny, Millet, i pittori di Barbizon, il suo amico e maestro Boudin. Ma lui va oltre: trasforma la natura nel suo atelier e a chi gli chiedeva di vederlo, rispondeva indicando la Senna e la campagna: «Ecco il mio atelier». E lultimo suo grande atelier sarà il vasto giardino della casa a Giverny, con laghi pieni di ninfee, coltivate apposta per essere dipinte. Inebrianti, bianche, rosa, rosse, sempre più grandi, sempre più sciolte nellacqua e nella luce, sino a trasformarsi nella prima pittura informale. Decine e decine ritratte in ventinove anni, dai Novanta dellOttocento alla morte dellartista nel 1926. Unossessione «quei paesaggi dacqua e di riflessi», ammetteva scrivendo allamico Gustave Geffroy.
Il suo atelier era anche quel piccolo battello che navigava sulla Senna, e gli permetteva di riprendere il grande fiume da ogni punto di vista. Non era stato lui ad inventarlo, ma il pittore Daubigny. Solo che lui ci viveva là dentro, passando ore a spiare i riflessi del cielo sulla Senna, creando capolavori come Il ponte ad Argenteuil del 1874, in cui le piccole onde del fiume si sono trasformate in luce.
Tutta la natura lo appassionava: lacqua, i fiori di lilla, i papaveri, i prati verdi, le spiagge aride e rocciose di Étretat, i giardini fioriti come quelli degli Hoschedé a Montgeron, le tempeste di mare, la neve, i covoni di fieno, che diventano serie, come le cattedrali di Rouen. Non gli bastava più un solo quadro, ce ne volevano tanti per scrutare tutte le trasformazioni del soggetto nellarco della giornata o dei mesi. Un folle, un genio come Caravaggio e van Gogh.
E la natura gli piaceva anche abitata, urbana: i boschi con signori e signori nei Déjeuner sur lherbe, i paesi della Normandia, con le case che sfilano sotto il vento e le donne coi parasole, i giardini pieni di gerani con il tavolo della colazione, il bricco del caffè, la frutta, il pane, e magari anche il bambino che gioca: il suo bambino, Jean, che fa le costruzioni col cappellino di paglia nella Colazione in giardino ad Argenteuil.
E le stazioni? Lo facevano impazzire. Si era fissato con la Gare Saint-Lazare. Permessi su permessi dal capotreno per potersi appostare con cavalletto e tutto il resto. E poi, via, allarrivare dei treni, tra fumi, vapore, fuliggine, a schizzarli coi colori scuri, marroni e violetti, come se vedesse dallinterno del convoglio.
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