Alle sette del mattino di lunedì 15 aprile 1912, Enrico Gatti, maestro elementare di una piccola scuola di Montalto Pavese, attraversava il prato di margherite candido come la neve, di cui ancor oggi questo cocuzzolo si ammanta nei mesi invernali. Alla vista di quel candore Enrico pensò al fratello Luigi che aveva visto un mese prima, per quella foto che Luigi volle fare con tutta la famiglia, prima di ripartire per l'Inghilterra e imbarcarsi sul Titanic. Luigi era tornato apposta da Londra perchè era orgoglioso di presentare ai suoi genitori, quattro fratelli e due sorelle, la bella moglie londinese, ma voleva soprattutto risentire il profumo di Montalto in aprile, ciliegi, sicomori, robigne, prima di scorgere il porto di New York, ultima destinazione del transatlantico, dal mare.
Chissà perché il candore di queste margherite mi ha ricordato stamattina mio fratello Luigi, forse avrà annotato la sera tarda sul diario, Enrico. Si può intravedere un iceberg in un prato di margherite? Forse era troppo per Enrico Gatti aver presagito in quell'osservazione la morte del fratello, disperso nell'oceano, al punto di prendere il nome dal dio Atlante, la mattina stessa alle 2.20, ore della nave, dopo che il Titanic, spezzato in due tronconi come una baguette, aveva iniziato a scendere sui fondali dell'oceano. Imbevuto di acqua e sale, come lacrime.
Ma forse, nella notte in cui le stelle erano talmente nitide sull'Atlantico che parevano spezzarsi dalla volta celeste per posarsi sulle acque - come narrerà un sopravvissuto alla tragedia - non era poi troppo per Gaspare Antonio Pieto Luigi Gatti pensare prima di morire che quell'iceberg candido assomigliava al prato di margherite davanti alla sua casa, sulla destra appena entrati in paese. Ora di candido e' rimasta solo la somma prova dei ricordi: la polvere depositata su una valigetta in pelle nera, foderata di raso blu, che riemerge proprio come un relitto dalla cantina di Enrico Gatti, sessantasei anni, impiegato Agip in pensione, pronipote di Luigi, erede del nome dell'antico maestro elementare, vivente in una bella casetta con piccolo portico e piccola veranda, da cui si gode tutta la teoria di colline terrazzate a vigneti di Montalto Pavese. Dentro la valigia tutto ciò che rimane di Monsieur Luigi, così il grande chef del ristorante di prima classe A la carte era chiamato dai nobili passeggeri del Titanic che per partecipare allo sfarzo del primo viaggio Southampton-New York avevano pagato un biglietto di ottantamila euro di oggi. Per quale ragione un Monsieur montaldese si trovava sul Titanic?
Il padre di Gaspare, che fu denominato fin da bambino Luigi, e chiamato stranamente con il quarto dei suoi nomi, quello che su internet è tra parentesi, era il sindaco del paese. Si chiamava Paolo Gatti ed era un proprietario terriero. Le margherite erano sue e Luigi non aveva bisogno di cercare altro candore che quello del suo campo. Invece, forse per via di quegli occhi fermi e tristi, dei baffi che migravano sul suo volto come rondini, andò alla ricerca di un lido lontano. Ma, rondine bianca, non migrò a Sud, contro natura spicco' il volo verso Nord. Non a Milano, che nelle giornate chiare si vede nitidamente dal colle di Montalto, ma a Londra, forse perché allora era quella la città delle fiabe alla Mary Poppins. Luigi non partì con la valigia di cartone e le scarpe senza stringhe, questo è sicuro. Forse ridiscese Montalto a cavallo di un mulo, raggiunse Milano e di lì l'Inghilterra. . Oppure fuggiva. Da una delusione d'amore? Quando il regista James Cameron decise di girare Titanic, Enrico Gatti ricevette una telefonata da Londra. «Lo staff di produzione voleva avere notizie sulla vita del mio avo. Da quanto ho capito, l'intenzione era di farne un personaggio. Monsieur Luigi. E volevano attribuirgli una storia d'amore sul Titanic. Ma ho detto loro che ne sapevo poco perché stavo attraversando un periodo di forte lutto e non intendevo collaborare. Ho sbagliato». Enrico Gatti capì l'errore quando nell'estate del 1997 portò la figlioletta Paola a vedere Titanic in un cinema di Rimini, dove era in vacanza, e la bimba vedendo le scene del lussuoso ristorante in stile gregoriano, stucchi dorati e lampadari di cristallo, versando lacrime bianche come margherite d'ere antiche conservatesi e poi discioltesi da un iceberg chiese: «Papà ma dov'è lo zio Luigi?». Paola Gatti fu la prima a rendersi conto che lo zio era entrato nel mito. Fu la prima, con quelle lacrime di pochi anni, femminili, versate a quasi a cento anni dalla tragedia come il filo di quella trama invisibile che lega il tempo presente a tutti i tempi, lei bimba come Penelope, portata per natura femminea a tessere tele che gli uomini non vedono, intui' che il Titanic non fu un fatto tout court, ma un fatto su cui le umane genti non hanno mai smesso di sedimentare, perla su perla, il sentimento di una narrazione, quel raccontare divino che trasforma un evento in mito.
Ed anche se lo zio Luigi non c'era nella colossale pellicola, la sua pronipotina, una volta uscita dal cinema, si fece scattare una di quelle foto che sono soliti fare, come un mito che procede sulla spiaggia con le ciabattine ad infradito, i fotografi sul lungomare di Rimini. Il suo volto al posto di quello di Rose, un'emozionata Kate Winslet, mentre tra le braccia di Jack, Leonardo Di Caprio, apre le ali ad angelo sulla prua dell'immane bastimento. Qui a Montalto Pavese nessuno si e' mai reso conto di chi sia stato Luigi Gatti? Stirpe lombarda, stirpe silente, come i vigneti, simbolo evangelico, che hanno solo un vezzo: piangono in primavera e proprio ora tra la meta' di marzo e la meta' di aprile, versano quelle gocce che solcano l'esile tronco della pianta e che gli agricoltori chiamano proprio lacrime. Le versano sulle fragole rosse come il cuore. Molte sono le aziende vinicole di questo monte alle porte di Voghera. La terra del bianco, del Riesling e del Pinot. Un'insegna sulla strada ne indica una. Azienda Cella. Monsieur Luigi Gatti vi aveva già posto l'occhio nel 1912, tanto che prima di partire col Titanic inizio' una trattativa per acquistarla. Allora nella tenuta ci vivevano ben quattro famiglie.
Ancora un ultimo viaggio, aveva pensato monsieur, e poi me ne torno a casa mia, con la moglie londinese e il figlioletto Vittorio, classe 1904, ritratto nell'ultima foto insieme al padre proprio sul Titanic, in mezzo a l'intero staff di camerieri, che Monsieurr stesso aveva selezionato ad uno ad uno. Vittorio salì per lo scatto di na foto e poi scese dalla mamma. Di loro non si seppe più nulla. Pare che la signora si sia risposata e sia andata in seguito a vivere in America. Luigi Gatti era un grappolo strano, se ne erano accorti il suoi semplici conterranei, come non poteva accorgersene il fato? Non era scritto nel mito celeste e terrestre che venisse tranciato a Montalto Pavese per avere una lapide in pietra nel piccolo cimitero, dove nulla lo ricorda. Nulla di lui e' rimasto qui, neppure una targa in una stradina spersa. Monsieur era di fine uva bianca lombarda, come le margherite, come un iceberg, e fu tranciato nel mezzo dell'oceano. «Abbiamo saputo che raggiunse le scialuppe, perché essendo il maître del ristorante più celebre della nave, indossava una divisa d'onore. Solo con quella potevi avvicinarti a una delle barche. Luigi fece salire altre persone, affinche' si salvassero. Poi rimase sul Titanic». Chissà se fu lui a dare l'ordine agli orchestrali di continuare a suonare fino alla fine quel nostalgico inno celtico, ora divenuto un altrettanto nostalgico canto liturgico. Chissà se fu lui a portare ad un tavolo del salone gregoriano, tra le donne dal profumo di datura, il giglio che profuma di dolce sesso, e gli uomini increspati di sigari, quella bottiglia di champagne, il bianco santificato sull'olimpo dei nettari per errore di un frate, che spicca tra i reperti del transatlantico.
Il certificato di morte presunta, in quanto corpo disperso, di Gaspare Antonio Luigi Gatti arrivò al comune di Montalto Pavese molto dopo la tragedia. Fu una delle ultime faccende di cui si occupò la moglie. La calligrafia e' così perfetta nei suoi riccioli da sembrare un vitigno. Esiste la vite del Signore, quella di cui si dice per ogni grappolo: se donerai il tuo succo vitale salverai la tua vita, se cercherai di preservarlo la perderai? E noi tutti sappiamo che questo e' vero centellinando un sorso di vino bianco, dove tanti grappoli hanno dato le loro vite. Non possiamo giurare che la vite del Signore esista. Forse. Di tanti forse e' costellata questa storia, proprio come quella del Titanic. Forse se ci fosse stata la luna l'iceberg sarebbe stato avvistato prima, forse se la radio avesse funzionato l'sos sarebbe partito in tempo, forse se gli ingegneri dei cantieri Harland and Wolff di Belfast avessero progettato che la nave potesse rimanere a galla anche con sei sale stagne allagate e non solo quattro non sarebbe affondata. E Monsier Luigi può aggiungercene un altro. Forse se Luigi Gatti invece d'essere lo chef, fosse stato la piccole vedetta lombarda, in fondo l'albero su cui la vedetta sali' e' a pochi chilometri da casa sua, avrebbe visto la collina di ghiaccio e avrebbe notato che non produceva vigneti come quelli che poteva vedere dalla sua casa di bimbo. Ma con certezza sappiamo che Monsieur si comportò da vero signore sul Titanic, che sacrifico' il suo futuro verso la tranquillità di Montalto Pavese per favorire quello di altri. Abbiamo strappato un fiore dal suo prato di margherite, ancora vivo a Montalto Pavese, per fare un «m'ama o non m'ama?». M'ama. Perché solo di questa unica, immortale parola sono fatti i miti, che ribollono nei tini, fermentano piano, e poi vengono imbottigliati nel vetro più puro.
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